‘Il Gufo e la Gattina’, una favola metropolitana al Teatro Manfredi

Tutto comincia per caso: nel condominio anonimo in cui vivono entrambi, l’incauto Felix, perbenista indiscreto, segnala al padrone di casa i traffici “immorali” di Doris, che per questo viene cacciata di casa all’istante (le due di notte), non trovando di meglio che rifugiarsi in casa del malcapitato Felix.
Dalla commedia originale di Bill Manhoff, è stato tratto a suo tempo (1970, regia di Herbert Ross) un piacevolissimo film interpretato da Barbara Streisand (che ne ebbe la nomination ai Golden Globe) e George Segal. Riambientata qui nella periferia romana, la storia dell’incontro scontro tra il gufo Felix (commesso di libreria con velleità da scrittore) e la provocante gattina Doris, sedicente artista che arrotonda ricevendo ospiti paganti nell’appartamento da basso, è una favola metropolitana, centrata sulla casualità e sull’attrazione degli opposti.
Esuberante, provocante, profondamente fragile lei, arroccata nella sua spavalda ignoranza. Intellettuale, sarcastico e snob lui, a sua volta prigioniero dei suoi affezionati stereotipi. Non potranno non piacersi, non potranno non attirarsi magneticamente.
Passeranno la notte insieme, inseguendosi tra il divano e il lettone, raccontandosi le rispettive vite, ambizioni, sogni infranti, provocati dalle proprie solitudini, dai propri fallimenti, provocati (sic) a raccontarsi, a mettersi allo scoperto, accantonando il cinismo di facciata per esporsi allo sguardo l’uno dell’altra: per caso, quasi per scommessa, per una notte soltanto, forse pensano.
Ma si può davvero spogliarsi delle proprie finzioni, davanti ad un estraneo/a, e con lui smettere di recitare il sé stessi che vorremmo tanto essere (o essere stati), abbandonare le proprie difese, tenere alta la bandiera bianca, sperando in un’improvvisa complicità, nell’improbabile possibilità di una comprensione, di una solidarietà? È possibile questo piccolo miracolo laico dei nostri tempi, ingrigiti dall’indifferenza e dalla stanchezza del pensiero, quest’inattesa fiducia, questo lasciarsi andare, quel che sarà sarà? La risposta di questo Gufo e di questa Gattina è che si, si può, forse si deve.
Ed è per questo che “il Gufo e la Gattina” è, in fondo, una favola metropolitana: non perché “Sodoma e Gomorra erano le sorelle stronze di Cenerentola” (una delle migliori battute della commedia). Anche se non usa la metafora, come le favole, ci ricorda che salvarsi è possibile anche senza un Principe Azzurro a portata di mano o in mancanza di una Bella Addormentata: basta accorgersi del proprio bisogno di amare, di prendersi cura, di perdonare. Noi, per primi, abbiamo bisogno di riconoscerci questa possibilità.
E così Felix, svegliato nel pieno della notte dalla vulcanica Doris, si ritrova a passare rapidamente dai panni dello snob a quelli di un distratto e trasandato Pigmalione, dapprima costretto suo malgrado, poi ferocemente dedito a salvare la “perduta” Doris: sarà ovviamente lei a salvarlo, finendo addirittura per demolire con civetteria i propositi suicidi di lui.
Nonostante l’età matura (generosamente confessata a fine pièce), Rita Forte, spalleggiata da Pietro Longhi, è senz’altro un’interprete credibile, vestendo con naturalezza i panni colorati e vulcanici di questa Doris di periferia, l’unica in grado di scuotere un gufo di tal fatta (Pietro Longhi).
Regia: Silvio Giordani
Interpreti: Rita Forte, Pietro Longhi
Al Teatro Nino Manfredi, fino al 25 Febbraio
Via dei Pallottini 10, Ostia Lido
Tel 06 56324849