‘Ciao’ approda al Quirino: Massimo Ghini interpreta Walter Veltroni

È più doloroso non conoscerlo o non averlo proprio avuto un padre? «Cosa?» si domanda un figlio in entrambi i casi, «cosa sarei potuto essere oggi se quella figura di uomo l’avessi compresa, se quel padre fosse stato al mio fianco?». Per il gioco beffardo della sorte succede che, proprio quella parte lì, che un individuo considera fondamentale per completare il questionario della sua vita, rimanga a lungo incompleta per l’assenza dell’unica persona in grado di fornire la risposta giusta. Ma il momento di riempire gli spazi vuoti anche se rimandato, prima o poi arriva.
Per questo, più che uno spettacolo teatrale, “Ciao” in scena al Quirino da ieri fino a al 22 ottobre e tratto dal romanzo omonimo, è il punto fermo dopo tanti interrogativi che Walter Veltroni mette sulla sua biografia e soprattutto sul rapporto con il padre Vittorio, morto giovanissimo per una rara forma di leucemia.
L’atmosfera sospesa del ferragosto passato in città e il bianco abbagliante degli arredi dell’appartamento, sono quanto basta affinché a casa Veltroni si verifichi l’apparizione fantastica e Walter (Massimo Ghini) ormai sessantenne si trovi faccia a faccia con Vittorio, il padre morto (Francesco Bonomo) negli anni 50’, materializzatosi all’improvviso di fronte a lui.
Perché ora e perché proprio a Walter, è dovere dello spettatore scoprirlo, mentre premura di chi scrive è fornire, quando occorra, più di una chiave di lettura. Ciao d’altronde è tante cose: un dialogo fantastico che si consuma tra un figlio ormai maturo e un padre che non ha mai avuto il piacere di stringere a sé, è l’incontro tra presente e passato, è l’intervista di un rappresentante dell’Italia della crisi a un testimone dell’Italia fascista e postbellica. Ciao è un atto di omaggio a un uomo, Vittorio, giornalista e pioniere in quella RAI, mamma degli italiani ma ancora bambina negli anni 50’.
Riportare in vita un padre incastrando insieme, come in un puzzle, tutte le tracce che ha lasciato, diviene in teatro un’impresa realizzabile. Alle osservazioni del figlio, Vittorio stesso narra dell’incontro con la madre, della responsabilità di iniziare un’attività radiofonica quando ancora il tasso di alfabetizzazione degli italiani era al minimo, lo sforzo di costruire insieme la TV. E quando non bastano i ricordi si aggiungono nomi come quelli di Arnoldo Foà, Alberto Sordi, Mike Bongiorno che furono grandi amici e colleghi ma pure Coppi, Bartali e Gene Kelly, miti celebrati dalla cronaca giornalistica. Ma quando persino le parole siano insufficienti? Eccoti delle immagini: ognuna proiettata sui vetri delle finestre dell’appartamento (né il grigiore antiquato ne diminuisce la forza evocativa): Stalin, il crollo del fascismo, la tragedia del gran Torino e alla fine persino il video del suo funerale: il funerale di Vittorio Veltroni.
Se è vero che il personaggio di Walter fa un passo indietro nell’economia della storia ponendosi come un narratore/ interlocutore secondario, non nasconde al padre gli sbagli compiuti, la sua stolta convinzione di farsi voler bene per fare politica e l’amara consapevolezza che chi voleva cambiare il mondo alla fine si è arreso e si è limitato a comprarlo.
Per queste caratteristiche “Ciao” si conferma uno spettacolo a statuto speciale, che bilancia la statica resa teatrale con una dinamica riflessione storica e umana.