Giorni Felici: la violenza sotto traccia

Si può uscire frastornati da Giorni Felici, dal 12 al 17 marzo 2024, al Piccolo Teatro Grassi, scritto da Beckett nel 1961.
Non solo per quel petulante e ripetuto monologo che la bravissima Monica Demuru fa, incorporata come è, in una montagnola desertica, dapprima sino al petto e poi sino al collo. Per quella sua risata nervosa, per quei grugniti del marito, Roberto Abbiati, che talvolta si trasformano in balbettii sillabati, per quella luce accecante che ha un che di mortifero.
Lei, stretta in quella morsa di terra, esordisce dicendo un altro giorno divino, felice!
Ci aspettiamo che faccia qualcosa, che si liberi da quella terra arida, sterile, grigia che ha il sapore e il colore di day after. E invece, resta lì, stretta nella morsa di quella “montagna incantata” che le consente inizialmente solo di dimenare le braccia e a stento di girare il collo per vedere se il marito Winni, è ancora vivo.
Lui, che ha il cranio sfondato, vive dietro la montagnola, in un loculo. Può solo strisciare ed ha circa sessanta anni, una decina più di lei. Il pubblico, proprio perché dietro al cumulo di terra, lo vede di rado.
Quel muovere convulsamente le braccia, per dimostrare che è viva anche se priva di libertà, ricorda un grande pesce spiaggiato che si agita inutilmente contorcendosi in spasimi mortali. Si da infatti un gran daffare ad aprire la grande borsa nera alla sua portata.
Ci sono dentro cose “utilissime” per la quotidianità borghese: un rossetto, lo spazzolino, il dentifricio, la spazzola per i capelli ed una bella pistola che lei accarezza più volte. Ma usarla, significherebbe essere in contraddizione con l’assioma inconfutabile che stia vivendo “Giorni Felici”.
Inazione e ripetizione di gesti quotidiani sembrano quindi rassicurare.
Cosa altro desiderare, ci dice Willie, questi sono Giorno Felici perché non c’è nessun dolore, nessuno slancio, nessun interesse. Il giudizio perentorio è quindi accompagnato da negazione.
Come se il processo psichico e linguistico della negazione consentano alla donna di non vedere il suo stato fisico e di formulare negativamente il contenuto di un desiderio incosciente. La forma di paralisi evita così la frustrazione e il dispiacere di aspettative disattese.
Eppure a ben vedere, il suo monologo che in realtà è un disperato tentativo di dialogo abortito, non è profondo, anzi, è talmente superficiale che si segue con facilità. Potrebbe fare anche ridere se preso alla lettera. O ammaliarci perché è una splendida prova attoriale. Invece ci schiaccia, ci disturba, ci irrita.
Pur essendo l’emblema del dramma della conversazione svuotata di qualsiasi contenuto, una “carcassa” semantica priva della sua funzione significante, offre infatti diversi piani di lettura. La ripetizione insistente delle solite frasi poi, non consente apertura o evoluzione, ma ci chiude in una atmosfera claustrofobica.
Giorni Felici: la violenza cerca di cancellare varietà e differenza
Per noi infatti l’immobilismo fisico che si fa anche temporale e psichico, rimanda ad una realtà che si avvia verso una inesorabile distruzione. Sentiamo infatti sottotraccia una sorta di violenza che implode piuttosto che liberarsi. E l’implosione lascia tracce proprio sui corpi dei protagonisti e su quel paesaggio desertico nella sua perfetta regolarità. Una vera grazia essere nel deserto, dice lei; immagina se crescesse tutto!
Di altro avviso è Massimo Civica, che firma la regia. “L’assurdo di Beckett è nella montagnola, nella scelta della situazione fisica iniziale, non nei personaggi o in quello che si dicono. E la montagnola, per me, non è una metafora, ma un “corrispettivo oggettivo” di uno stato dell’anima e di una sensazione in cui ci sentiamo immersi. Una volta accettate le sue “assurde” premesse, che una donna viva in un deserto bloccata dentro un cumulo di sabbia con accanto un marito a mobilità ridotta, ci troviamo davanti a un testo realista, ad una situazione e a un rapporto tra i personaggi improntati ad una assoluta “banale” quotidianità.”
Piccolo Teatro Grassi (via Rovello, 2 – M1 Cordusio), dal 12 al 17 marzo 2024
Giorni Felici
di Samuel Beckett
traduzione Carlo Fruttero
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Roberto Abbiati e Monica Demuru
scene Roberto Abbiati
costumi Daniela Salernitano
luci Gianni Staropoli
produzione Teatro Metastasio di Prato
In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di The Estate of Samuel Beckett c/o Curtis Brown Group Limited
Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16.
Durata: 90 minuti senza intervallo
Prezzi: platea 33 euro, balconata 26 euro
Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – www.piccoloteatro.org