Ho paura torero: contro la dittatura, amore e cultura popolare
Grandi tende chiare e leggere volteggiano sulla scena pop di Ho paura torero, che dall’11 gennaio all’11 febbraio 2024, sta facendo il tutto esaurito al Piccolo Teatro di Via Rovello, a Milano.
Lasciano entrare le utopie elettriche, i suoni, le voci, i colori, le musiche della notte purpurea di Santiago sotto la dittatura di Pinochet.
La nuova Produzione del Piccolo Teatro, che vede il suo Direttore Claudio Longhi firmare la sua prima regia e Lino Guanciale nei panni della Fata è una edizione teatrale di Alejandro Tantanian del libro omonimo di Lemebel (1952-2015).
Il saggista, cronista, interprete e romanziere omosessuale cileno è una delle figure più influenti del paesaggio culturale sudamericano per la forza provocatrice delle sue cronache radiofoniche e dei suoi interventi sulla stampa.
La sua prosa è sensuale, pop, burlesca, melanconica. Una forma di resistenza culturale sia sociale, contro cioè l’egemonia eterosessuale, che politica, contro cioè la dittatura e l’indifferenza. Entra subito nell’emotività, con grazia e senza paura.
La comunità cilena residente a Milano è stata invitata alle prove ed ha dato un contributo di memoria, ricordi e dolore alla realizzazione di questo spettacolo che parla di libertà e coraggio, base fondante del Piccolo Teatro.
In Ho paura torero, titolo ispirato ad una canzone popolare che narra di un amore impossibile, Lemebel, tra boléros, canzoni, comunicati radiofonici, rivoluzionari e emarginati, come un alchimista fantasioso e delicato, riesce a trasformare l’amore e la cultura popolare in strumenti per cambiare la società.
Lo spettacolo mantiene la narrazione in terza persona del romanzo.
Siamo a Santiago nel 1986. La città, tratteggiata grazie ai costumi di Gianluca Sbicca, alle luci di Max Mugnai e ai video di Riccardo Frati, vive col terrore della morte e della paura della dittatura.
In un quartiere periferico, abita “la Fata” dell’angolo, un travestito entrato ormai nella grande età, uno spensierato e sensibile Lino Guanciale.
Ha lasciato la strada e ora ricama tovaglie immacolate per le ricche mogli dei generali, ascoltando le canzoni romantiche, tenere, appassionate di Sara Montiel.
La Fata si muove leggera, a passi di danza, volteggiando proprio come quelle tende. Vive nel suo nido baroccamente colorato e arioso, disegnato da Guia Buzzi, fuori dalla contingenza del suo vivere, mentre intorno a lei cominciano a disegnarsi intrecci di vite, di storie, di sogni unitamente al destino di un paese. Le scene cambiano velocemente. Gli attori stessi, complici momenti di buio, ruote silenziose alla mobilia e musica, spostano gli oggetti di scena.
Molto presto la vediamo innamorarsi di Carlos, un giovane studente universitario che approfittando dell’infatuazione della Fata per lui, fa della casa di lei un deposito di armi e un punto di incontro per la sua cellula militante.
Al contempo, lei tesse con furbesca ingenuità, una tela ammaliante tra il pop e il kitsch per irretire Carlos. Il riferimento a Il Bacio della donna Ragno è innegabile. I due personaggi apparentemente lontani, comunicheranno grazie ad un linguaggio teatralizzato, da feuilleton.
Ho paura torero: in questa stramba relazione che diventa però sempre più profonda, si prepara la grande sera rivoluzionaria cilena.
Quelle casse che la Fata ricopre di drappi colorati, contengono infatti le armi per l’attentato a Pinochet.
A questa coppia fa da contraltare la coppia volutamente caricaturale del generale Pinochet e di sua moglie, considerata la sua ispiratrice. Gli spassosissimi e un po’ grotteschi Arianna Scommegna e Mario Pirrello ci appaiono sempre in una sorta di cornice appesa ad un piano superiore, lontano dalla realtà del popolo.
A differenza della Fata che grazie all’amore per Carlos acquisterà una consapevolezza politica e sociale, mentre parallelamente, nell’intransigenza militante dello studente farà breccia il sentimento, la First Lady, acquisterà sempre e solo più cappelli, più vestiti alla moda, e più rughe per i troppi pensieri di ambizione e potere “macbethiani” e il generale avrà incubi sempre maggiori. Come se la costruzione di una vera identità, si possa avere solo a partire da un’educazione sentimentale.
Lo spettacolo, nonostante la durata di tre ore, è leggero e godibile.
Come sempre il Piccolo Teatro attraversa e si apre alla città. Tanti infatti i momenti di approfondimento del testo di Lemebel e dello spettacolo. Tutti gli appuntamenti – ad eccezione delle proiezioni di “sguardi paralleli” – sono stati a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria su piccoloteatro.org
Piccolo Teatro Grassi (via Rovello, 2 – M1 Cordusio), dall’11 gennaio all’11 febbraio 2024
Ho paura torero
di Pedro Lemebel
traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi
trasposizione teatrale Alejandro Tantanian
regia Claudio Longhi
scene Guia Buzzi
costumi Gianluca Sbicca
luci Max Mugnai
visual design Riccardo Frati
travestimenti musicali a cura di Davide Fasulo
dramaturg Lino Guanciale
assistente alla regia Giulia Sangiorgio
con (in ordine alfabetico) Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri,
Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Arianna Scommegna, Giulia Trivero
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
foto di scena Masiar Pasquali