Quanto può servire un servizio in streaming per rilanciare il teatro in Italia?

«Stiamo ragionando sulla creazione di una piattaforma italiana che consenta di offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento, una sorta di Netflix della cultura, che può servire in questa fase di emergenza per offrire i contenuti culturali con un’altra modalità, ma sono convinto che l’offerta online continuerà anche dopo».
È di ormai una settimana fa quest’intervista rilasciata dal Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini a Massimo Gramellini. Una settimana, in quarantena, può sembrare un lasso di tempo siderale ma forse vale la pena di ritornare su quelle parole del Ministro per riflettere ancora su cosa sarà del famoso portale in streaming dedicato interamente alla promozione del settore artistico in Italia e nel mondo.
Un’idea accattivante, quella della Netflix culturale, che ha generato subito un turbine di suggestioni, ipotesi, cospirazioni, polemiche e teorie del complotto come da tradizione.
Cosa effettivamente sarà questo fantomatico servizio in streaming è impossibile da dire ora. Ciò che però si può fare sin da adesso è provare a circoscrivere i punti di forza e quelli di debolezza di un progetto che – come insegnano i vari Netflix, Disney+ e Amazon Prime – avrebbe bisogno innanzitutto di due cose: una linea editoriale specifica e tanti, tanti soldi da investire.

Il che genererebbe già un primo cortocircuito di carattere etico: come far digerire a migliaia di lavoratori e lavoratrici in questo momento al palo, un investimento che nemmeno li riguarderebbe direttamente?
La condizione di attori, registi e maestranze che orbitano intorno al mondo dello spettacolo è infatti drammatica. I cartelloni teatrali sono stati bruscamente interrotti proprio nel momento cruciale della stagione e l’evolversi dell’emergenza sanitaria per ora non sembra promettere nulla di buono nemmeno per la prossima annata.
Il rapporto SIAE che comparava le stagioni 2017 e 2018 fotografava un calo delle presenze ormai inesorabile. Tra un anno e l’altro infatti il cinema registrava una riduzione degli ingressi di quasi il 6% e le cose per il teatro andavano persino peggio. La prosa registrava un -49,23% le commedie musicali -57%, il balletto -18,37% e addirittura una contrazione delle presenze del 68% per quanto riguardava le attività circensi.
Insomma, un vero e proprio scenario di guerra in cui l’emergenza da Covid-19 sembra essere l’ennesima Caporetto.
Teatro in streaming
Con la calata definitiva dei sipari, sono stati molti i teatri che hanno deciso di non lasciare soli gli spettatori caricando in streaming del materiale di repertorio fatto di spettacoli, dibattiti, reading.
Esperienze come quella del Teatro di Roma, del Teatro dell’Opera o del Piccolo@Home sono solo alcune delle realtà nazionali che hanno scelto di entrare nelle case degli italiani riscontrando un buon successo di pubblico.
Certo, c’è sempre l’obiezione per cui il mondo dello spettacolo debba essere necessariamente dal vivo. Qualsiasi tipo di performance, sia essa un happening o la messinscena dei Sei personaggi in cerca d’autore, si nutre della sua stessa irriproducibilità e – ancor di più – della relazione tra attori e spettatori in sala.
C’è allora chi ha storto il naso al solo pensiero di abbonarsi ad un servizio in streaming che gli consenta di poter recuperare delle rappresentazioni direttamente sul divano di casa. Sacrilegio!
Eppure questo passaggio di consegne tra media diversi è già avvenuto tempo fa per altre forme di intrattenimento dal vivo. Un esempio su tutti, quello dei concerti.
Nessuno si sognerebbe mai di dire che assistere all’esibizione di una rock star nella propria camera da letto, per quanto equipaggiata di impianto Home Theater e schermo Led di mastodontiche dimensioni, possa equivalere ad una serata di pogo e birra sotto palco. Tant’è che registrazioni di concerti live come quella dei Pink Floyd a Pompei, caricate su YouTube per alleviare le sofferenze della pandemia, hanno nuovamente scatenato i fan della band ad ogni latitudine. E tra ogni fascia di età.
Sì perché uno degli obbiettivi che il Ministero della Cultura dovrebbe perseguire è proprio quello di far riscoprire la nostra tradizione teatrale alle nuove generazioni.
Una pratica, questa, che spesso non ha funzionato per innumerevoli motivi, non ultimo il sistematico taglio dei fondi da parte di governi di ogni colore che nell’ultimo ventennio ha interessato scuola, università e ricerca.
Senza un coinvolgimento sistematico dei ragazzi nella realtà teatrale italiana, senza quella consapevolezza maturata tra i banchi di scuola, il calo degli spettatori continuerà ad essere inarrestabile.
Se non si investe nella formazione degli spettatori di domani – evitando se possibile gli interventi spot, con elargizione di bonus cultura a pioggia – il teatro e la sala cinematografica continueranno ad essere visti come dei luoghi accessori, entità sempre più lontane dalla comunità e dal vivere quotidiano.
Quale idea di cultura?
Per dirla con le parole fredde del marketing, prima di offrire un servizio bisognerebbe almeno intercettare un bisogno. E stando alle statistiche della SIAE, l’urgenza di andare a teatro non era granché percepita da buona parte degli italiani già nei mesi prima della quarantena.
Ad oggi l’amore per il palcoscenico è un fenomeno tutt’altro che di massa. I cultori della materia sono una nicchia che non sembra contemplare possibilità d’espansione.
La scommessa di rilanciare il settore puntando tutto su un servizio streaming che ospiterebbe, oltre alla nostra tradizione teatrale, anche contenuti legati all’ambito artistico, museale o paesaggistico potrebbe risultare vincente soprattutto se la piattaforma avesse degli intenti divulgativi e promozionali.

Forse il brand Italia, così inteso, potrebbe giovare di questo strumento soprattutto tra gli aspiranti turisti: da ogni parte del mondo si potrebbe visitare la Torre di Pisa, la Cappella Sistina ed assistere alla Traviata al Teatro Costanzi in un pomeriggio soltanto.
Promuovendo l’immagine del nostro Paese all’estero si potrebbe auspicare un ritorno in termini di turismo internazionale, quando la situazione si sarà definitivamente rasserenata.
Fino a quel momento però dovremo fare i conti con la triste verità e prendere, per una volta, decisioni impopolari. Invertire la tendenza degli anni passati.
Ad esempio, dovremmo definitivamente convincerci che il nostro patrimonio storico-artistico sarà il vero motore da cui far ripartire l’economia. Un capitale economico, simbolico ed estetico assieme, di cui soltanto noi possiamo disporre e che dovremmo sfruttare al meglio per lasciarci alle spalle la crisi.
Insomma: programmazione, valorizzazione e sponsorizzazione dovrebbero essere le parole d’ordine dell’ipotetica Netflix della cultura. Tutte pratiche, queste, sistematicamente disattese quando se ne presentava l’occasione. Per questo le parole di Franceschini per ora ci sembrano più vicine ad una favola che all’effettiva realtà dei fatti. Non ci resta allora che sperare nel genio italico e, perché no, in un imprevisto lieto fine. Prima che cali definitivamente il sipario.