Uno Shakespeare non-teatrale al Vascello

Chi sono?
Son forse un poeta?
No certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’ anima mia:
follìa.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’ anima mia:
malinconìa.
Un musico allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’ anima mia:
nostalgìa.
Son dunque… che cosa?
Io metto una lente
dinanzi al mio core,
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’ anima mia.
Aldo Palazzeschi scrisse questa poesia come un manifesto di sé stesso, un ritratto ironico quasi grottesco del poeta e della sua identità oltre che della poesia, dolce compagna e pericolosa amante. Non è un caso che alla vista di una messa in scena ispirata e adattata allo Shakespeare “non-teatrale”, sovvenga alla mente questa poesia dei primi anni del XX sec.
Al Teatro Vascello terminano domenica 17 Marzo le repliche di “Shakespeare/Sonetti” regia Valter Malosti, adattamento al testo e messa in scena di Fabrizio Sinisi e Valter Malosti con coreografie di Michela Lucenti.
Cinque personaggi: un clown, un poeta, una dark-lady, un giovane, un uomo; sotto uno studiato uso di luci che virano dal giallo fisso allo psichedelico ed intermittente rosso, creano un gioco di piani in cui l’unico personaggio a rimanere statico fino alla fine è la figura misteriosa di Shakespeare, seduto nel buio mentre mima con la bocca parole rese suono e quindi scena in primo piano da un appariscente pagliaccio.
Il protagonista con la sua cruda, ritmata e continua declamazione di poesie viene intervallato solo dall’incontro con una Michela Lucenti nelle vesti di piccola, ma tremenda presenza femminile. Il suo vestito non del tutto allacciato la fa scatenare in una danza sensuale quanto estrema che termina con un ultimo gesto, un vestito tolto ed una mela mangiata. Anche il clown si sveste al finale, si trasforma in un viaggiatore, stanco di tenere addosso la sua maschera ormai troppo pesante da sostenere.
Per tutti gli altri personaggi è pensato un movimento di marionette: quando non devono ballare e muoversi al ritmo dei ricordi di questo io narrante vestito di paillettes, i fantocci ruotano su loro stessi ingabbiati in delle strutture di ferro poste sullo sfondo della scena.
Allo sgomento e alla difficoltà iniziale che sono tipici dell’adattamento a teatro di un testo così denso e filologicamente complesso, subentra ben presto una forte sensazione di coinvolgimento emotivo. La messa in scena si fa simbolico luogo in cui la sfera emotiva di chi crea e fa arte attraverso la parola o la scrittura, dialoga, litiga e discute con sé stessa, con i suoi pensieri e le sue sensazioni.
Il grande e tormentato Shakespeare fa capolino da questo scollamento di piani che ricorda un po’ una continua figura retorica, un enjambement tra le quartine o le terzine dei suoi componimenti.
I personaggi oltre che significare loro stessi e quindi funzionare da semplici accidenti sul cammino del poeta, si trasformano in veri “punti di vista”, in diversi pezzi di una coscienza ormai passata, logora e frammentata che rincorre il piacere voluttuoso e l’amore giovane, ma conosce perfettamente la disillusione e la dannazione che l’accompagna.
Uno spaccato forte e coinvolgente di un’elegiaca “tranche de vie intérieure” che fa pensare, grazie anche alla splendida voce di Valter Malosti capace di entrarti davvero dentro. Quando la sua melodia così calda e ritmata si ferma e neanche le musiche di scena di Domenico Modugno riescono a tenere viva la magia, l’esperienza termina ed il libro viene chiuso. Ora siamo tutti pronti a rimettere davanti al nostro cuore la lente per mostrarci alla gente tornando ad essere i saltimbanchi della nostra anima.