Ragazzi di vita: Pasolini prende vita al Carignano

Cambiare ambientazione: siamo a Torino, al Teatro Carignano. Improvvisamente siamo anche a Roma, nei suoi quartieri dalle mille storie, create dai suoi abitanti e dalle loro azioni quotidiane. Non si tratta di un folle sogno, bensì dello spettacolo che ha debuttato il 29 gennaio al Teatro Carignano di Torino: “Ragazzi di vita”, di Pier Paolo Pasolini, con la drammaturgia di Emanuele Trevi e la regia di Massimo Popolizio. Lo spettacolo, prodotto da Teatro di Roma – Teatro Nazionale, resterà in scena nel capoluogo piemontese fino a domenica 10 febbraio.
Il romanzo di Pasolini dal quale prende spunto la rappresentazione è ambientato nel secondo dopoguerra, tra le varie borgate romane, dove si muovono diversi personaggi, tra i quali spicca principalmente il Riccetto, un ragazzo dotato di una grande generosità, nonostante sia un mezzo delinquente, spesso costretto a rubare e borseggiare perché non ha soldi nemmeno per mangiare.
La rappresentazione sul palcoscenico risulta fin dall’inizio molto vivida e nuda: il narratore di tutta la storia interpretato da Lino Guanciale segue l’andamento delle vite dei ragazzi, canta con loro, recita con loro. Si muove continuamente, cercando di sostenere le loro gesta come se fosse parte della struttura del palcoscenico, ma anche facendosi portavoce dei sentimenti inespressi, delle paure, delle difficoltà. Il forte accento romano (il classico romanesco pasoliniano, che casca a pennello data la crudezza del racconto e delle varie situazioni che si alternano sul palco) non gli toglie affatto la dignità di cantastorie nel senso più elevato del termine, ma al contrario lo trasforma in una sorta di “multi personaggio”.
Chi riesce a travolgere il pubblico con il suo dirompente entusiasmo recitativo è Lorenzo Grilli, che interpreta il personaggio del Riccetto: sfrontato, coraggioso, dotato appunto di un cuore grande, che verrà purtroppo piano piano oscurato dalle condizioni di povertà e dunque di disperazione che interesseranno la sua vita, nel corso degli anni. Come anche i pessimi incontri che farà, che gli strapperanno di dosso la sua fanciullezza e quei ricci biondi che cominceranno ad ingrigirsi troppo in fretta. Un personaggio che nonostante i dispiaceri e le perdite della sua esistenza tenta spesso di salvarsi, pur non riuscendoci mai davvero.
Alcune scene di questo spettacolo appaiono inizialmente ridicole o quasi divertenti, ma agli occhi dello spettatore si trasformano rapidamente in un momento tragicomico, che ha dentro tutta l’amarezza dello stesso che i diversi attori cercano di farci vivere sul palcoscenico: come la scena di lotta tra i due cani (che sono interpretati da due attori in maniera credibile tanto che ci si dimentica quasi della sua dimensione umana), dove i reciproci padroni incitano i propri cani (un cucciolo e una femmina), aizzandoli l’uno contro l’altro e nonostante gli spettatori sappiano di avere di fronte due animali, le movenze sul palcoscenico sembrano sempre più umane e diventano la metafora dello scontro continuo tra le diverse classi sociali.
Pasolini dipinge un romanzo in cui non c’è quasi felicità, dove la dimensione umana viene dilaniata dalla povertà del dopoguerra, ma dove ogni tanto si vede uno sprazzo di vita vera gioiosa: come la scena con cui si apre lo spettacolo, dove i tre giovani protagonisti stanno cercando disperatamente un posto dove provare a rinfrescarsi dalla calura romana estiva: giungono dunque in un piccolo stabilimento lungo il Tevere, dove si accalcano tanti ragazzi come loro, che richiede un cifra bassa per avere cabine e asciugamani.
Ed è proprio su quello scivolo, solamente in quel frangente che vediamo i protagonisti vivere davvero le piccole gioie della loro età, in cui si gode delle cose più semplici e le si trasforma in un motivo per fare casino, per ridere di nulla, ma lo si fa bene, senza pensieri.
Una nota di merito va indubbiamente anche alla colonna sonora dello spettacolo, che ruota tutta intorno a canzoni dal vivo inserite nella partitura, che riescono a conferire a seconda della situazione, un senso di malinconia e di spensieratezza. Quello che lo stesso spettacolo “regala” ad ogni spettatore, quando cala il sipario e ognuno si avvia verso la propria casa.
Rebecca Cauda