“Trappola per topi”, roditori in cerca di ritmo al Vittoria

Un classico di Agatha Christie, una commedia “gialla” tutta giocata sull’eredità dolorosa d’un passato che non passa e sui fantasmi che tornano, inquietanti e a tratti grotteschi, a tormentare il presente: humour nero, se si vuole, dove i mezzi toni e le sfumature (nei toni, nei ritmi, nei gesti…) dominano la scena.
Profondo inverno, la giovane coppia – Mollie e Giles Ralston che gestisce la pensione Monkswell (fresca d’apertura la pensione e novelli sposi i Ralston) accoglie i primi ospiti: un campionario, assortito e molto “british”, di personaggi più o meno misteriosi. Fuori comincia a nevicare e la vecchia casa rimane ben presto isolata, tagliata fuori dal mondo ma non dalla vendetta, che uno sconosciuto assassino/a ha cominciato a Londra, strangolando una giovane donna, e proseguirà nella vecchia “mansion” sperduta nella neve. Il tutto sulle note ossessive della crudele filastrocca “Three blind mice”.
Nata dalla penna di “zia” Agatha (Christie) nel 1947 come radiodramma, ispirata a fatti realmente accaduti nel 1945, conobbe nella trasposizione teatrale (dal 1952) un’enorme fortuna di critica e di pubblico, a partire dai teatri del West End londinese: tuttora strettamente vincolata – per volontà dell’autrice – sia nelle rappresentazioni “off” West End che nella pubblicazione del testo, già alla fine del 2012 annoverava oltre venticinquemila rappresentazioni (nella sola Londra…), confermandosi come il più longevo spettacolo teatrale della scena londinese.
La messa in scena della Compagnia Attori & Tecnici, per la regia di Stefano Messina, è senz’altro filologicamente accurata: d’altra parte un testo del genere non può che rappresentarsi nel rispetto letterale di azione e dialoghi originali, basato com’è sul difficile equilibrismo tra comicità e suspence, tra gag e colpi di scena, coinvolgendo in un gioco sottile di sospetti e rivelazioni ogni e ciascuno dei personaggi, sacrificando – o scavalcando – ogni stereotipo di genere. In questo l’originalità della piéce, al limite la sua stessa provocatorietà. Perché in questo gruppo di benpensanti piccolo borghesi, giunto per motivi diversi a questo appuntamento con la morte, tutti sospettano di tutti, tutti sono equivoci, tutti nascondono qualcosa: come nei “masterpieces” della Christie (pensando a “Murder on the Orient Express” – del 1933 – o “Death on the Nile”, del 1937), occorrerà dipanare l’intera vicenda dalle sue origini di abuso e sordida violenza, per arrivare a smascherare l’assassino/a. Ma questa volta dovrà essere il caso (e il pubblico) a fare tutto il lavoro, con preghiera di non rivelare (è tradizione dello spettacolo, fin dall’origine) ad altri il clamoroso finale.
Fin qui, la storia. Ma è facilmente intuibile che la sua messa in scena non è di semplice realizzazione, giocata com’è su un difficile equilibrio tra humour e suspence, tutto basato sull’interpretazione e sul senso della misura, e basta poco per sbagliare registro, vanificando l’uno e l’altro.
In questo gioco brava senz’altro Claudia Crisafio (Mollie Ralston, la padrona di casa), che sa passare con naturalezza dall’uno all’altro dei diversi registri orchestrati sul palco. Meno riusciti gli altri ruoli / interpretazioni, data anche l’ulteriore difficoltà di indossare abiti e mentalità di (quasi) cent’anni fa, senza quindi potersi esprimere a tinte forti: scivolando a volte nella macchietta umoristica o nell’ammicco, non è poi semplice rientrare nell’atmosfera noir, che pure deve guidare il plot verso la sua sorprendente conclusione.
Conclusione che, fedeli alla tradizione accennata, non vi riveleremo a nessun prezzo, anche perché, se saprete leggere bene tra le righe, la troverete già svelata qui sopra…
Meglio comunque andarla a (ri)scoprire al Teatro Vittoria, fino al 16 Dicembre vi aspettano mistero e divertimento.
Regia: Stefano Messina
Interpreti: Claudia Crisafio, Stefano Messina, Carlo Lizzani