“Ben Hur”: dalla chat alla biga, passando per la Bielorussia

Interno (o inferno?) di famiglia romano, degradato e stanco. Sergio è separato, trascina la sua vita indaffarata come centurione per i turisti del Colosseo. Separato, vive con la sorella Maria, divorziata, nella battaglia quotidiana per mettere insieme il pranzo e la cena. Lei, sfiorita ma piacente, arrotonda le entrate familiari lavorando da casa, ad orari improbabili, per una chat erotica, con prevedibili effetti comici e difficoltà di convivenza domestica (in primis, risponde puntualmente a qualunque telefonata – anche amiche e conoscenti – con un roco “sono tutta nuda).
L’arrivo di Milan, ingegnere in Bielorussia e disperato tuttofare qui a Roma, apre la porta a sviluppi mai sperati: il benessere economico, l’amicizia, forse l’amore. Ma alla fine Sergio e Maria, prigionieri dei loro fallimenti affettivi e sociali, non riusciranno, malgrado tutto, ad andare oltre l’opportunismo smaliziato in cui si sono trovati, loro malgrado a vivere e mettere radici.
La commedia è veloce e scanzonata, in un susseguirsi continuo di battute azzeccate, senza rinunciare a rappresentare, con toni anche amari, accanto alle piccole furbizie e meschinerie del quotidiano arrabattarsi, ai bisticci fraterni più o meno aspri e graffianti, anche le piccole e grandi sofferenze personali: degli affetti scomparsi, dei sacrifici continui, dell’impotenza davanti al mondo.
Si ride, e molto, e di gusto: ma a ben guardare è un riso amaro, sulla pelle degli altri, quelli (ancora) meno fortunati di noi, vittime delle circostanze, della storia, della società. A nulla serve l’ingenuità di Milan, la sua buona volontà, la sua dolcezza: anche se riuscirà in breve a migliorare la vita di Sergio e Maria, con le sue idee e la sua onestà, finirà vittima peggio di prima, vittima della gelosia di Maria, che credeva di aver (ri) trovato l’amore.
E allora la comicità delle battute e degli equivoci (efficace e perfettamente ritmata), ci coinvolge e ci cattura, ma lascia un retrogusto pungente, amaro, apre comunque a qualche domanda: se si possa davvero vivere così, se davvero ci giochiamo tutto e solo sul denaro, sul benessere, sul prestigio sociale. O se pure, ancora, ci sia spazio per la comprensione, per la solidarietà. E uscire dalla sala del Vittoria con qualche dubbio in più magari non guasta, anche se non ci si va per quello.
Perché il teatro, anche questo teatro, apparentemente “leggero”, e senz’altro divertente, è rappresentazione, esemplificazione, è la catarsi: vedere rappresentate le emozioni, le passioni, i pensieri, le scelte che noi stessi, noi che siamo lì come meri spettatori, potremmo fare, abbiamo fatto, avremmo voluto fare. Catarsi, appunto: o più semplicemente, metterci davanti a noi stessi, quelli che siamo, quel che pensiamo, nascostamente o consapevolmente: di noi stessi, del mondo, dell’Altro.
Se ha un limite, questo spettacolo, è forse solo quello di essere fuori tempo massimo: se poteva essere ( a modo suo) rivelatorio e scanzonato ancora qualche anno fa, portando in luce questo nostro modo di vivere e sopravvivere, cronaca e politica dei giorni nostri lo rendono ormai superato, già assimilato nella realtà e nel nostro pensiero (in)civile: in fondo, che male c’è?
“Ben Hur” resta comunque uno spettacolo molto divertente e molto ben recitato: accontentiamoci di tanto.
Regia: Nicola Pistoia
Interpreti: Paolo Triestino, Nicola Pistoia, Elisabetta De Vito