I Miserabili, ovvero l’epica del riscatto sociale

La vicenda dell’ex galeotto Jean Valjean, liberato dopo vent’anni di lavori forzati ed in cerca di un possibile riscatto, d’un posto nella società, incrocia le vite d’altri più miserabili: quella della morente Fantine, giovane ragazza madre sfuggita all’arresto per prostituzione, e delle sua sfortunata figlia Cosette, quella di Monsignor Myriel, nobiluomo rovinato dalla Rivoluzione e divenuto vescovo pietoso, quella di Marius, rivoluzionario, repubblicano e soprattutto idealista (ciò che non gli impedisce di innamorarsi di Cosette), e infine quella di Eponime, sventurata ma altruista figlia della miserabile “banda Thenardier”.
Ma soprattutto protagonista è la Francia di inizio Ottocento, gli anni della Restaurazione, della nuova monarchia, gli anni della seconda Repubblica: soprattutto gli anni, in cui si forma, di nuovo nel sangue (come già nel 1789) la forza, l’identità di una Nazione.
Non è quindi impresa da poco trasformare tutto questo caleidoscopio di storia e rivoluzione, di miserie umane e nobiltà d’animo, di intrighi e colpi di scena, in una piéce teatrale, ancorché di due ore e quaranta: un romanzo di mille e cinquecento pagine, scritto da Hugo tra il 1845 ed il 1862 (anno della pubblicazione). “Oliver Twist” di Dickens – romanzo affine – è quasi degli stessi anni, pubblicato come romanzo d’appendice tra il 1837 ed il 1839)grande curiosità, quindi, per l’approccio scelto, per il “taglio” dato (letteralmente, e inevitabilmente) al corpus narrativo organico e articolato del romanzo di Victor Hugo.

La chiave proposta, e la motivazione dichiarata nel proporre “questo” romanzo storico in “questo” momento storico, è essenzialmente l’idea di possibile un parallelismo, se non una stretta somiglianza, tra i Miserabili di allora (Parigi, Francia, inizio ‘800) e i nostri miserabili (e invisibili) di oggi: working poors, immigrati più o meno clandestini, esodati, pensionati alla minima sociale e chi peggio ne ha, più ne metta.
Perché “I Miserabili” non è una commedia e non è un tragedia: è un dramma, un dramma sociale. Ed occorre ricordarlo prima e dopo aver comprato il biglietto al botteghino: perché può piacere o meno, che si sia letto il romanzo o che se ne ignorino trama e personaggi, ma è comunque necessario accostarsi al dramma, a questo dramma, disposti a lasciarsi coinvolgere, ad accettarne i ritmi ed i toni.
Allora, soltanto allora, si scopre come qualmente la scarna scenografia a quinte mobili, magicamente scompaia, per divenire ora giardino, ora osteria, ora ospedale. Allora gli interpreti non sono più interpreti, ma diventano – magicamente – “incarnazioni”. Allora la pagina affollata e travolgente di quello che resta il primo, vero “romanzo sociale”, si incarna vivida e trascendente negli sguardi e nei gesti di Jean Valjean.
Come nel romanzo la caratura delle emozioni, la statura dei personaggi, la drammaticità della narrazione, riemergono a piene tinte, a pieni toni. Ma, attenzione: riemerge grazie a “questa” messa in scena, con “questi” interpreti, dove la trasposizione non è né letteralmente fedele, né troppo libera, ma saggiamente mirata a cogliere del corpus dei Miserabili (mille e cinquecento pagine!) quanto vi è di più sostanziale, affidando poi ai dialoghi (in parte – per necessità – rimaneggiati) il compito di “ricucire” i salti narrativi.
Franco Branciaroli è dunque un Jean Valejean senza esitazioni e senza compromessi (nell’interpretazione, come nel ruolo), perfetto nei gesti e negli sguardi, padrone della scena con il suo vocione vibrante, le sue occhiate fulminanti, i suoi gesti misurati. Fantine è un dramma umano straziante, Cosette giovinetta è deliziosamente sentimentale, la Banda Thenardier è meschina e vigliacca. Tutti sono travolti dalla forza del destino, dalla forza della storia, gli interpreti non sono più attori, ma portabandiera dei personaggi.
Si soffre e si muore parecchio, ne “I Miserabili”. Si muore abbandonati ad un letto d’ospedale, si crepa sulle barricate o ci si spegne lentamente nella misera. Ma, tranquilli, alla fine l’amore trionfa.
Adattamento teatrale Luca Doninelli
Regia Franco Però
Con (tra gli altri): Franco Branciaroli (Jean Valjean), Romina Colbasso (Cosette), Ester Galazzi (Fantine), Riccardo Maranzana (Thenardier), Francesco Migliaccio (Javert)