SORAYA: la “principessa dagli occhi tristi” ripudiata dall’ultimo Scià di Persia
Certi amori lasciano il segno nell’immaginario collettivo, specie se ad esserne protagonisti furono i personaggi eponimi di un’epoca che vide la Rivoluzione Islamica cancellare i fasti di una dinastia imperiale antica di 2000 anni. Quello che unì Soraya all’ultimo Scià di Persia fu un grande amore, crudamente invalidato dalla ragion di Stato. Avremmo potuto iniziare il racconto con il classico “c’era una volta”, tanto questa storia avrebbe posseduto tutti i contorni di una favola solo se avesse avuto il lieto fine che non ebbe.
Oggi che l’Iran, l’antica Persia, è nell’occhio del mirino della politica internazionale, ci ha risvegliato in tutta la sua vividezza il ricordo di Soraya e della sua vita contrastata da fuggevoli gioie e grandi dolori, che tanto ci appassionò sui rotocalchi dell’epoca. A quel tempo le riviste di gossip non avevano nulla da invidiare a quelle di oggi, imbastite per lo più sulle vicende delle Case allora regnanti.
Soraya Esfandiari Baktiari era nata nel 1932 da un’ importante famiglia di Teheran, il padre ambasciatore d’Iran nella Rep. Federale Tedesca, la madre una tedesca ebrea dalle origini russe. E sembrerà strano che il grande amore con lo Scià fosse stato il frutto di un matrimonio combinato. Mohammad Reza Pahlavi, nato nel 1919, era reduce dal primo matrimonio con Fawzia, la bellissima sorella del Re Farouk d’Egitto, dalla quale dovette divorziare per avergli dato solo una figlia femmina che non avrebbe potuto ereditare il trono. Ciò grazie ad un’anacronistica “legge salica”, tuttora vigente in soli tre Paesi al mondo, Giappone, Giordania e Liechtenstein. La scelta di una seconda moglie cadde dunque su Soraya Esfandiari, splendida ragazza di 19 anni, abituata a uno stile di vita liberale in quanto vissuta fino allora in Europa, dove aveva sognato la carriera di attrice. Alla neo fidanzata lo Scià regalò un diamante di oltre 22 carati.
Il matrimonio
Le nozze furono celebrate con grande sfarzo a Teheran nel 1951. La giovane sposa svenne per ben tre volte sotto il peso dell’abito firmato Dior, tempestato da 6.000 autentici brillanti, tanto che lo Scià ne fece tagliare la lunghissima coda. Lui, 32 anni, giovane di innegabile carisma e virile fisicità, non fu difficile innamorarsi l’uno dell’altra, trasformando in una vera passione quel matrimonio studiato a tavolino su un album di fotografie. Ma il sorriso sulle labbra di Soraya era piuttosto raro, forse presaga di quanto la vita le avrebbe riservato. In realtà, si sentiva stretta dall’atmosfera di Corte, dove fin dall’inizio non fu ben accettata dalla madre dello Scià. Poi, l’accrescere dell’ansia quando, nel corso dei sette anni di matrimonio, fu posta davanti all’amaro verdetto di una conclamata sterilità che non avrebbe permesso nemmeno a lei di dare il sospirato erede al trono del Pavone.
Il ripudio
Costretto dalle pressioni di Palazzo, nel 1958 Reza dovette infine ripudiare l’ “adorata consorte”. La dolorosa decisione, secondo le cronache dell’epoca, fu annunciata in pubblico dallo stesso Scià con la voce rotta da una commozione che non riuscì a nascondere. Una sua frase rimase celebre, quando disse che “per lui c’erano due sole fedi: il Corano e Soraya”. Ciò mette in chiara luce quanto la religione musulmana sia legge di Stato, il Corano prima di tutto.
Oggi ci si potrebbe chiedere perché, di fronte a un grande amore, lo Scià non si fosse deciso a rinunciare al trono. Viene subito in mente l’esempio di Re Edoardo VIII d’Inghilterra che nel 1936 abdicò in favore del fratello minore Alberto per sposare la sua amante Wallis Simpson, un’americana pluridivorziata. Anche lo Scià avrebbe potuto abdicare in favore del fratello minore per restare insieme a Soraya. Ma il destino gli remò contro, poiché il fratello minore morì in un incidente aereo.
Va detto che l’autoritarismo che contrassegnò la politica di Reza Pahlavi, fortemente repressiva contro gli oppositori del regime, gli fece tuttavia porre mano ad un significativo ammodernamento sociale dell’Iran, già iniziato dal padre, che lo avrebbe favorito nel dialogo con i Paesi occidentali.
Tentò anche, in extremis e in contraddizione con quei principi innovativi, di proporre a Soraya un matrimonio parallelo con un’altra donna per avere il sospirato erede, ma la cultura di lei rifiutò tale aggiustamento ritenendolo assai umiliante. Così, alla sposa ripudiata fu assegnato un ricco appannaggio e il titolo di “ Sua Altezza Imperiale la Principessa dell’Iran”, chiamata dalla stampa “la principessa dagli occhi tristi”, i suoi grandi occhi di giada cui le foto non hanno mai reso pienamente giustizia.
Quindi Soraya tornò a Parigi, alla sua vita libera dal rigido protocollo reale, girovagando per l’Europa con vari soggiorni in Italia e a Roma, invitata a manifestazioni mondane e culturali e la possibilità di dedicarsi alla sua antica passione per il cinema. Ma ogni tristezza vive nelle sue dimensioni. Soraya non riusciva a dimenticare il suo Reza e nemmeno lui. Correvano voci insistenti circa i loro frequenti incontri segreti. Peraltro, lo Scià continuò sempre a seguire nascostamente la sua vita ponendo alcuni “veti” alle situazioni che non riteneva consone a una signora del suo rango. Ma il destino continuava a tessere le sue tele.
L’incontro con Franco Indovina
Nel 1965, trascorsi altri fatidici sette anni cari alla Cabala, Soraya recitò nel film a episodi “I tre volti”, una partecipazione in realtà non molto apprezzata dalla critica, già allora molto esigente. Ma la principessa dette una svolta alla sua vita con il regista di uno degli episodi, l’aitante palermitano Franco Indovina, già sposato e padre di due figlie. Un amore reciproco, ben assortito, una nuova speranza che vide rifiorire il sorriso sul volto di Soraya. Ma… c’era ancora un “ma”, quel destino accovacciato dietro l’angolo che punta dritto sui suoi fini nascosti, imperscrutabili. Nel 1972, esattamente sette anni dopo il loro incontro (ancora una volta quel numero sette persecutorio), avvenne la famosa tragedia del volo Alitalia 112, schiantatosi a Punta Raisi sopra Palermo, dove persero la vita 115 persone. Franco Indovina era tra queste.
Solo noi donne innamorate dell’amore possiamo calarci nel dolore di Soraya, al quale, ancora giovane, riuscì a sopravvivere con la forza d’animo ereditata dalla madre tedesca. Nondimeno soggetta ad un costante stato depressivo dopo la morte del compagno, rifiutava quella denominazione di “principessa dagli occhi tristi” perché non amava piangersi addosso né tantomeno essere compatita. Alcol e farmaci antidepressivi la condussero fatalmente ad addormentarsi nel sonno senza via di ritorno. Fu nell’ottobre del 2001, nella sua casa di Parigi, seppellita nella vicina Monaco di Baviera. Donna ancora molto bella a 69 anni, ma indubbiamente svuotata della sua anima.
L’ultima imperatrice Farah Diba
Lo Scià, dopo il ripudio di Soraya, si risposò per la terza volta con l’altrettanto avvenente Farah Diba, che gli dette ben quattro figli, dei quali il primogenito Ciro, il sospirato erede al trono. Farah si rivelò donna di grande personalità, cultura ed assiduo impegno in ambito sociale e artistico, creando diverse istituzioni per lo sviluppo intellettuale dell’infanzia e dei giovani, nonché il Museo di Arte Contemporanea di Teheran.
Dopo la fine della monarchia in Iran, seguì il marito nel lungo esilio per il mondo fino alla sua morte avvenuta al Cairo in Egitto il 27.7.1980. Oggi, 77enne, vive a Potomac nel Maryland, accanto al figlio Ciro (55), pretendente al trono dell’Iran secondo i monarchici iraniani, tra i quali è la stessa Farah la più fervente sostenitrice di una restaurazione.
Tout passe, tout casse, tout lasse… et tout se remplace. Restano solo le immagini, ancora tanto intense, di certe storie indimenticate.