Brexit: accordo commerciale, riconoscimento delle qualifiche professionali e lo strano caso degli avvocati

Il processo avviato a seguito del Referendum del 23 giugno 2016, che ha determinato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea il 31 gennaio 2020 (con l’entrata in vigore dell’Accordo di recesso) e la fine del periodo transitorio il 31 dicembre scorso, è culminato nel Trade and Cooperation Agreement (“TCA”) del 24 dicembre, che ha scongiurato il “No Deal” creando una zona di libero scambio di merci, tuttavia tra le 1246 pagine che lo compongono ha quasi del tutto “dimenticato” di regolamentare in maniera chiara l’area dei servizi, tra l’altro omettendo di considerare il riconoscimento reciproco automatico delle qualifiche professionali.
Succede così che ingegneri, farmacisti, veterinari, commercialisti ed avvocati, giusto per citarne alcuni, per poter lavorare in Regno Unito (e viceversa) dovranno affrontare non solo le barriere date dalle nuove norme sull’immigrazione, e dunque, salvo rare eccezioni, nel caso di un italiano ottenere un visto prima di poter lavorare stabilmente in terra d’Albione, ma anche gli ostacoli a che la loro qualifica professionale venga riconosciuta in Gran Bretagna.
Professionisti alla ricerca di qualifica nel Paese di nuova elezione
Il blame game, cioè il palleggiamento di responsabilità che per quasi 5 anni ha circondato tutti gli incompiuti dell’accordo, stavolta ha un verdetto unanime: Londra avrebbe voluto, per ovvie ragioni (la ratio è di 1 a 27), inserire nell’accordo il riconoscimento delle qualifiche professionali, ma Bruxelles non ha acconsentito e ha deciso di confermare la posizione assunta negli accordi già siglati in altri trattati.
Questo comporta che, a parte brevi viaggi di lavoro, i professionisti europei che volessero esercitare in Regno Unito – e viceversa – dovrebbero ottenere una qualifica nel Paese di nuova elezione, a meno che gli ordini professionali di categoria nazionali non decidano diversamente con il bene placet del Partnership Council, il Consiglio di Partenariato istituito tra UK ed UE atto ad approvare tali intese.
Saranno dunque le rispettive associazioni di categoria a siglare degli accordi bilaterali, non a livello centrale europeo ma ogni stato secondo la propria autonomia negoziale, e potranno addirittura essere prese delle decisioni autonome senza aspettare la reciprocità da parte dell’altro contraente. Potrà così accadere che ci sia il nulla osta dei britannici per i veterinari francesi o gli ingegneri spagnoli, senza che i loro rispettivi professionisti abbiano il riconoscimento da parte di Parigi e Madrid; o potrebbe accadere che l’ordine dei commercialisti inglesi e quello italiano trovino un accordo di mutuo riconoscimento, mentre a greci e portoghesi non sia riconosciuto il titolo, e così via.
La situazione degli avvocati
Un discorso a parte meritano poi gli avvocati. Da una parte, rappresentano l’unica categoria menzionata nell’accordo commerciale, che infatti disciplina in modo autonomo i servizi giuridici: una specialità che ha nutrito l’amor proprio della categoria, cui l’accordo riserva la possibilità di esercitare nelle giurisdizioni dell’altro contraente sulla base del proprio titolo professionale ( “home title”) purché si limitino a fornire assistenza sulla legge del proprio Paese, ovvero sul diritto pubblico internazionale.
In realtà, a ben vedere, tra tutte le categorie di professionisti, quella degli avvocati, nonostante la menzione nell’accordo, è forse quella che ci ha perso di più. Infatti, fino al 31 dicembre 2020, un avvocato italiano che intendesse esercitare la professione legale in Inghilterra poteva farlo iscrivendosi presso la Law Society britannica quale Registered European Lawyer e poi, al compimento di un periodo di tre anni di esercizio effettivo e continuativo presso un solicitor (l’avvocato inglese), ottenere lui stesso la qualifica di solicitor, senza sostenere alcun esame.
Tutto cambiato dal 1 gennaio 2021: la “rotta europea” non esiste più, lo European Lawyer è diventato un Foreign lawyer e a meno che non sostenga un esame come qualsiasi neolaureato britannico non potrà convertire il proprio titolo in quello di solicitor. Avrà diritto di esercitare sulla base del suo home title ma potrà praticare il diritto inglese solo con alcune limitazioni ed esclusivamente sotto la supervisione di un solicitor. Questo, naturalmente, a meno che non intervenga un diverso accordo tra l’Ordine Nazionale degli Avvocati e la Law Society britannica …