Brexit: cosa prevede l’accordo di Natale e cosa cambia per noi italiani

L’accordo Brexit, quello che la stampa ha già ribattezzato il Breximas (crasi tra Brexit e Christmas), arrivato alla Vigilia di Natale appena in tempo per scongiurare il no deal ha ricevuto la ratifica da parte della House of Commons, la Camera dei deputati britannica. L’approvazione da parte di Bruxelles prevede tempi più lunghi, e avverrà solo nel nuovo anno, ma le parti hanno concordato l’implementazione provvisoria fino al 28 febbraio, data entro la quale dovrebbe aver passato l’iter di approvazione da parte dei restanti 27 Paesi europei e quindi ottenuto la ratifica comunitaria.
Dal primo gennaio, dunque, al termine di quella fase di transizione che il premier Johnson ha categoricamente vietato di estendere, seppur protetti da un accordo dell’ultimo minuto, Regno Unito ed Unione Europea diventano a tutti gli effetti Paesi terzi. Legati da un agreement che rappresenta il più grande trattato di libero scambio mai sottoscritto, ma anche il primo caso al mondo di accordo che di fatto limita, invece di estendere, la portata di quanto già previsto dalla regolamentazione che va a sostituire: un progetto ambizioso e sicuramente accolto con favore rispetto alla temuta ipotesi di No Deal ma che per molti rappresenta comunque una sconfitta. Anche in patria le reazioni non sono univoche: oscillano dall’entusiasmo nazionalista di Johnson e dei Leavers che lo definiscono uno storico passo in avanti verso una rinnovata “global Britain” alla delusione ed alla rabbia dei Remainers, per i quali come suggerisce il quotidiano progressista The Guardian, è “il più clamoroso inganno mai inflitto agli elettori britannici”.
Il negoziato in tre passaggi
Tre i punti che rischiavano di far saltare il negoziato: in primis quello dell’uscita dal mercato unico e dall’unione doganale – su cui pesava anche la questione irlandese, cioè la necessità di non infrangere gli accordi del Venerdì Santo che hanno ristabilito la pace tra le due parti dell’isola, e che si è risolto garantendo il commercio di merci senza dazi alle frontiere; inoltre, non ci sarà un limite alla quantità di prodotti commerciabili tra il Regno Unito e i Paesi del blocco (più problematico il settore dei servizi, che rappresenta l’80% delle esportazioni britanniche ed è stato lasciato fuori dalle trattative).
Altrettanto rilevante il problema della concorrenza equa, il cosiddetto level playing field, per il quale l’accordo trovato consente in sostanza a Londra di divergere dalle regole europee e a Bruxelles di ottenere garanzie contro l’eventualità di concorrenza sleale da parte dei britannici.
L’ultimo punto su cui l’accordo si era incagliato (e mai verbo fu più appropriato) è quello della pesca nelle acque britanniche, che rappresenta una frazione infinitesimale del PIL per entrambe le parti, ma una questione politicamente rilevante per Johnson che doveva tenere a bada il malumore indipendentista scozzese, e per Macron che doveva confermare il suo peso internazionale. Tutto sotto controllo per i prossimi 5 anni, con la UE che dovrà rinunciare ad un quarto del pescato.
Ma quali sono i punti più rilevanti dell’accordo, e cosa cambia per noi italiani?
Turismo
Possibile visitare il Regno Unito e viceversa senza bisogno di visto ma addio alle carte d’identità, dal primo ottobre sarà accettato solo il passaporto. Previsti limiti di tempo al soggiorno massimo consentito, e soprattutto impossibile trasformare la vacanza in un trasferimento, anche se si disponesse di fondi personali sufficienti al sostentamento. I cittadini comunitari che al 31 dicembre 2020 già vivono in Regno Unito sono invece tutelati dall’accordo di recesso e possono continuare a vivere e lavorare nel Pase, purché provvedano a registrarsi al EU Settlement scheme. Disposizioni analoghe sono previste per i britannici in Europa.
Lavoro ed immigrazione
Diffcile anche trasferirsi a Londra e cercare lavoro: dal primo gennaio finisce la liberta’ di movimento delle persone ed entra in vigore il nuovo sistema di immigrazione a punti (point based system): per trasferirsi in terra d’Albione sarà necessario avere un’offerta di lavoro preventiva da parte di uno sponsor accreditato e ad un livello di istruzione almeno pari alla scuola media superiore; bisognerà inoltre conoscere l’inglese a livello intermedio e, salvo rare deroghe (per il settore sanitario o per chi ha un Phd specialmente in materie scientifiche) guadagnare almeno 28.000 sterline all’anno. Una barriera rilevante per i tanti italiani che in passato sono andati in Gran Bretagna per ricoprire ruoli nella ristorazione e intanto imparare l’inglese.
Università e programma Erasmus
Rette molto più elevate per chi volesse iniziare un percorso universitario in Regno Unito dal 2021: verrà introdotto un sistema a punti analogo a quello previsto per i lavoratori, e pertanto anche gli universitari potranno trasferirsi solo se hanno un’offerta da parte di un istituto di istruzione accreditato, hanno fondi sufficienti per trasferirsi, e conoscono l’inglese. Il Regno Unito, inoltre, ha deciso di non partecipare più al programma Erasmus, per il quale Londra è sempre stata una delle mete più ambite. Il premier Johnson ha comunicato l’intenzione di sostituire il programma con il “Alan Touring project”, ma sul punto si aspettano chiarimenti.
L’accordo in ultima analisi è sicuramente un buon traguardo, soprattutto se paragonato al No Deal, ma quali saranno le conseguenze dell’uscita del regno di Sua Maestà dall’Unione europea, per i britannici ma anche per noi italiani, lo scopriremo veramente solo nei mesi o forse negli anni a venire.