29 ottobre: nasce Goebbels e muore Pulitzer
Una data, il nome Joseph e l’attività di politico e giornalista accomuna due uomini che, per il resto, si muovono in direzioni diametralmente opposte. Uno, Goebbels gerarca nazista, per la propaganda di regime con il controllo totale dell’informazione nelle sue mani, l’altro, Pulitzer fautore del premio giornalistico omonimo, per la libertà di stampa.
Joseph Goebbels è nato in Germania il 29 ottobre 1897 e la sua storia è indissolubilmente legata all’ascesa al potere del Partito Nazista nel 1933. Fu uno tra i più potenti e influenti gerarchi del Terzo Reich, Gauletier (capo di una sezione locale del Partito) di Berlino dal 1926 al 1945, Ministro della Propaganda dal 1933 al 1945, anno nel quale ricoprì per quasi due giorni la carica di Cancelliere del Reich, dal suicidio di Hitler (che lo nomina Cancelliere nelle sue volontà), avvenuto il 30 aprile 1945, al suo, avvenuto il 1 maggio 1945. Laureato in Filosofia, era uno anche tra i più colti in mezzo agli altri nazionalsocialisti di spicco, tanto da essere chiamato «Herr Doktor» (Signor Dottore) dallo stesso Führer Adolf Hitler; inoltre uno tra i più fanatici, con le sue tecniche di propaganda innovative, brillanti e senza scrupoli. Nonostante fosse di umili origini e avesse un aspetto poco avvenente essendo basso, vistosamente zoppo per un problema giovanile (per questo non prenderà parte alla Prima Guerra Mondiale), piedi storti ed orecchie a sventola, fu proprio Goebbels a teorizzare l’ideale della razza ariana che voleva tutti muscolosi, alti, biondi e dagli occhi azzurri. Goebbels viene conquistato dall’impetuosa e intensa capacità di Hitler di catturare l’ascoltatore la prima volta che assiste, nel 1922, ad un suo discorso pubblico. Inizia però a ricoprire una carica nel Partito solo quando prende il posto di Heinrich Himmler come segretario personale del deputato nazista Gregor Strasser, che vede in lui le due qualità utili per conquistare Berlino: l’intelligenza e il dono dell’oratoria. Qualità che colpiranno anche Hitler, affascinato dal suo carisma. È il 1928 quando Goebbels viene eletto deputato al Reichstag, cosa che gli consentirà l’anno seguente di venir incaricato della propaganda nazista a livello nazionale, divenendone successivamente Ministro dal 1933 fino alla fine del Terzo Reich. È questo il momento nel quale Goebbels assume il totale controllo dell’informazione, della vita culturale e sociale tedesca, applicando i principi del nazismo in ogni ambito, con ostinata fermezza e disciplina: dalla stampa, al cinema, al teatro fino allo sport. Un vero «dittatore della cultura», che con le sue campagne di «arianizzazione» e i suoi roghi di libri spinge all’esilio centinaia di artisti e scienziati, ebrei e non. È sempre Goebbels a sostenere moralmente i soldati al fronte quando l’esito della guerra diventa incerto e a motivare i civili sotto i bombardamenti facendo leva su una fede incontrastata nella vittoria e alludendo ad un’arma segreta, pur di alimentare la loro resistenza. Goebbels afferma: «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità». Le ultime ore e le circostanze della morte del gerarca, di sua moglie e dei loro sei figli, sono ancora piene di interrogativi. Sembrerebbe che la sera del 1 maggio 1945 i bambini siano stati prima narcotizzati utilizzando la morfina dalla madre aiutata da Helmut Kunz, medico delle SS, e poi uccisi, forse con l’aiuto del dottor Ludwig Stumpfegger, rompendo una capsula di cianuro nella loro bocca. Una versione vedrebbe di seguito Goebbels sparare alla moglie e suicidarsi subito dopo con la stessa arma. Un’altra ricostruzione ipotizza, per i due coniugi, una morte con due colpi alla testa per mano di un attendente in seguito a loro disposizioni, che comprendevano anche la cremazione dei corpi. Infatti i sovietici al loro arrivo trovano i corpi talmente carbonizzati da con consentire le analisi necessarie per stabilire la verità.
La vita di Joseph Pulitzer, nato nel 1947 a Makó (Ungheria) e morto il 29 ottobre a Charleston (Stati Uniti d’America), corre su binari decisamente differenti. Quando nel 1864 emigra negli USA, dove combatte nella Guerra di secessione statunitense, non sa ancora che sarebbe diventato un celebre giornalista ed editore, oltre che politico, e non sa ancora che proprio grazie alle sue ultime volontà testamentarie sarebbe stata fondata la «Columbia University School of Journalism» di New York e costituito l’illustre premio a lui intitolato. Già nel 1903 una sua donazione del valore di un milione di dollari aveva permesso la costituzione di una scuola di giornalismo presso la Columbia University. Il lascito, invece, per il Premio Pulitzer era di venti milioni di dollari, cosa che ha permesso ogni anno, a partire dal 1917, di assegnare a giornalisti e scrittori americani dodici premi per altrettante categorie (compreso il disegno umoristico e la fotografia). Prima di morire è lo stesso Pulitzer a delegare la gestione dei premi ad un comitato, oggi conosciuto come «Pulitzer Prize Board», composto da editori, giornalisti, professionisti e alte cariche della Columbia University.
La sua nuova concezione della professione di giornalista per la quale si batte è quella di «un modo onesto per guadagnarsi da vivere», senza monopolio, consorzi e corruzione. Per lui il giornalista «è la vedetta sul ponte della nave dello Stato. Prende nota delle vele di passaggio e di tutte le piccole presenze di qualche interesse che punteggiano l’orizzonte quando c’è bel tempo. Riferisce di naufraghi alla deriva che la nave può trarre in salvo. Scruta attraverso la nebbia e la burrasca per allertare sui pericoli incombenti. Non agisce in base al proprio reddito né ai profitti del proprietario. Resta al suo posto per vigilare sulla sicurezza e il benessere delle persone che confidano in lui». Infatti «non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza» ed è quindi compito del giornalista portare «alla luce del giorno questi segreti», descriverli, renderli «ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma l’unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri». Joseph Pulitzer pone come obiettivo principale la qualità dell’informazione già all’inizio del Novecento. Nel suo saggio «Sul Giornalismo», pubblicato per la prima volta nel 1904, si chiede: «Quale sarà la condizione della società e della politica di questa Repubblica di qui a settant’anni, quando saranno ancora vivi alcuni dei bambini che adesso vanno a scuola? Sapremo salvaguardare il primato della Costituzione, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l’incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del denaro e dei disonesti?». Domande attualissime, come la sua convinzione: «La nostra Repubblica e la sua stampa progrediranno o cadranno insieme».
Due esempi di vite che aiutano a riflettere e a far tesoro della propria libertà, perché dove non c’è libertà non c’è verità e, parafrasando «Will Hunting — Genio ribelle», «la libertà è il diritto dell’anima di respirare, e se essa non può farlo le leggi sono cinte troppo strette. Senza libertà l’uomo è una sincope».