A San Valentino scoprite l’amore platonico

Secondo Nietzsche non esistono fatti, ma soltanto interpretazioni e volendo estendere tale citazione sostituendo i fatti con i concetti si può sostenere che talvolta le interpretazioni di un concetto riescono a entrare nell’immaginario collettivo più del concetto stesso. Potrebbe sembrare enigmatico e per questo risulta opportuno ricorrere a un esempio pratico, vale a dire l’amore platonico.
Nel linguaggio comune questo termine fa riferimento a un amore privo di ogni dimensione carnale e passionale e il nome fa pensare che proprio Platone stesso lo abbia concepito così, quando invece tale accezione deriva da Marsilio Ficino e la realtà non è esattamente così o meglio, tornando a Nietzsche, la si può interpretare diversamente. Sia comunque chiaro che in questo articolo si proverà sempre e comunque a indossare quell’abito filosofico, che non accetta l’ovvio e soprattutto non intende affermare dogmi con la consapevolezza della forte quotidianità da cui è animata la filosofia ricordando che tale disciplina non è soltanto ragionamento astratto sui massimi sistemi, ma al contrario tentativo di raggiungimento del bene individuale, comune e tangibile.
La filosofia abbraccia ogni lato della vita umana sempre e in Platone ancora di più, considerato che, come affermava Alfred Whithead tutta la storia della filosofia occidentale non è altro che una nota a margine proprio di Platone stesso e in quest’ottica non può certo stupire la profonda importanza dell’amore nella sua speculazione filosofica.
E quindi cosa significa amore platonico?
Platone si occupa principalmente del tema amoroso in due delle sue opere più importanti, vale a dire il Simposio e il Fedro, dove Platone divide l’anima in tre differenti parti attraverso il mito della biga alata con il cavallo nero, rappresentativo dei nostri istinti, il cavallo bianco, più riferito alla volontà e al coraggio guidati da un auriga che rappresenta la ragione. La concezione dell’amore di Platone è strettamente e saldamente collegata a quella dell’anima, proprio perché Eros sconvolge e rivoluziona l’animo umano e questo perché tale è il destino di Eros sin dalla sua nascita, che Platone espone nel Simposio.
In questa straordinaria opera la genia di Eros viene rivoluzionata attraverso il discorso di Socrate, il quale per una volta afferma di sapere qualcosa e di esserne venuto a conoscenza grazie a Diotima di Mantinea. Nel corso di un banchetto organizzato per celebrare la nascita di Afrodite si accoppiarono Penia, povertà e Poros, espediente o risorsa e proprio da quest’unione nacque Eros, il quale citando proprio l’opera è sempre povero e tutt’altro che delicato e bello, come credono i più, ma anzi, ruvido, ispido, scalzo e senza dimora.
Secondo l’indole del padre, invece, tende insidie ai belli e nobili, ha coraggio, è impavido (…). La sua natura non è né immortale né mortale, ma nello stesso tempo fiorisce e vive, quando trova il modo per farlo, muore e poi di nuovo ritorna alla vita grazie alla natura del padre. Quello che prende gli sfugge via subito, sicchè Eros non è mai povero, né ricco. Egli sta in mezzo tra sapienza e ignoranza.
Il concetto di Eros è quindi strettamente collegato all’idea di mancanza e di desiderio di colmare tale mancanza ed essendo stato concepito durante il compleanno di Afrodite cerca sempre e comunque la bellezza. Volendo semplificare e sperando di non banalizzare si può affermare che nel Simposio Platone definisce Eros in sé e per sé, mentre nel Fedro si delinea lo scopo di Eros, il quale deve riuscire a mettere le ali a quella biga di cui si parlava precedentemente per fare in modo che l’uomo possa arrivare al mondo delle idee.
La bellezza è in un certo senso mediatrice tra il mondo umano e quello delle idee e ha vari gradi, ai quali corrispondono diversi tipi d’amore. Si parte dalla passione carnale fino ad arrivare a quello più grande per la conoscenza, che è poi letteralmente la filosofia stessa. Senza il grado più basso non è però neanche pensabile l’arrivo a questa forma di conoscenza più grande e sarebbe per di più non umano, poiché la passione erotica è radicata nei sensi umani. In definitiva se è vero che l’amore platonico guarda al cielo non può che partire dalla corporeità e quindi dalla sessualità stessa in tutta la sua follia.