L’impresa di Fiume, 100 anni dopo

Fra il settembre del 1919 e il Natale dell’anno successivo ebbe luogo uno degli eventi più interessanti e, secondo l’opinione di chi scrive, sottovalutati della storia d’Italia. In quei 500 giorni venne occupata la città di Fiume e per la prima volta un poeta prese il potere di una città. Il poeta in questione è ovviamente Gabriele D’Annunzio e probabilmente proprio nella sua figura risiede il motivo della poca considerazione di cui gode l’impresa fiumana. Il poeta Vate è infatti considerato una sorta di Giovanni Battista del fascismo e l’impresa di Fiume una prefigurazione della Marcia su Roma e del ventennio in generale. Se degli elementi di continuità sono innegabili, come confermato da D’Annunzio stesso secondo il quale era però il fascismo a provare ad essere dannunziano, allo stesso tempo notevoli sono gli elementi di discontinuità e differenza.
Però al di là del fascismo, si potrebbe tentare di analizzare l’impresa fiumana come un episodio a sé stante e separato dal fascismo, come a tutti gli effetti è stato. In questo senso risulta opportuno ricostruire il contesto storico e geografico all’interno del quale l’impresa ebbe luogo. Precedentemente la città di Fiume era parte dell’impero Austro Ungarico con lo status speciale di Corpus Separatum e quindi sostanzialmente indipendente dal resto dell’Impero. In particolar modo fra il 1867 e il 1896 i rapporti con l’Impero furono positivi a tal punto che si fa riferimento a quell’episodio con il termine di Idillio. Con l’avvento del ventesimo e quindi con l’esplosione del concetto di nazione, e nella città di San Vito di due nazionalismi differenti, quello slavo e quello italiano, la situazione mutò velocemente.
La Prima guerra mondiale portò inoltre due notevoli mutamenti geopolitici fra loro collegati, vale a dire la dissoluzione dell’Impero Austro Ungarico e la formazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Fiume si trovò quindi contesa fra il Regno d’Italia e quello Jugoslavo e venne provvisoriamente posta sotto un’occupazione interalleata di truppe diverse come città libera e indipendente, secondo quanto stabilito dalla conferenza di Pace di Versailles successiva alla Prima guerra mondiale.
La popolazione italofona di Fiume, all’epoca in maggioranza, voleva l’annessione all’Italia e l’opinione pubblica italiana vedeva nell’annessione di Fiume la possibilità di porre rimedio alla vittoria mutilata della Prima guerra mondiale, secondo la definizione di D’Annunzio. Proprio il Vate, chiamato dal Consiglio Nazionale Italiano della città di Fiume, decise di rompere questo stallo e conquistò la città seguito da un gruppo di legionari e senza incontrare particolare resistenza delle truppe presenti.
Iniziò in questo modo l’esperienza D’Annunziana a Fiume, in un primo momento nazionalista e con l’unico scopo di annettere Fiume all’Italia, ma poi avamposto di un’idea di società diversa. Fiume divenne infatti città di vita, rifugio di rivoluzionari e artisti di diversi orientamenti e diverse nazionalità. In questo contesto deve essere sottolineata la fondazione della Lega dei Popoli Oppressi, ideata dal Ministro degli Esteri e poeta belga Léon Kochnitzky, contrapposta alla società delle Nazioni Unite e che può essere considerata anticipatoria delle istanze terzomondiste, antiimperialiste e anticolonialiste sviluppatesi successivamente. Fiume era a tutti gli effetti la festa della Rivoluzione, citando la pubblicazione della storica dell’arte Claudia Salaris.
Queste istanze rivoluzionarie sono perfettamente rappresentate dall’arrivo del sindacalista Alceste de Ambris, il quale subentrò al capitano Giovanni Giuriati come Capo del Gabinetto nel governo della città nel gennaio del 1920. L’incontro fisico e intellettuale fra De Ambris e D’Annunzio partorì la rivoluzionaria Carta del Carnaro, vale a dire la Costituzione della reggenza Fiumana, scritta in prima battuta dal sindacalista e reinterpretata poeticamente dal Vate. In questa costituzione coesistono elementi di profonda innovazione in netta discontinuità con il passato e un richiamo mitico e immaginifico proprio ad elementi classici e medievali.
Si annunciava infatti il regno dello Spirito umano, si proclamava l’importanza della musica come istituzione religiosa e la proprietà senza utilità sociale smetteva di essere un diritto inalienabile, senza dimenticare l’assoluta uguaglianza stabilita fra i due sessi e l’introduzione del divorzio.
Come disse D’Annunzio stesso anche se dopo brevissimo tempo l’annessione ci impedisse di attuare la Costituzione in tutte le forme, questa potrebbe rimanere come un esempio a tutto il mondo dell’aspirazione di un popolo e di un gruppo di spiriti.
Probabilmente proprio nel nostro presente, in cui la pandemia ha ulteriormente evidenziato i limiti dell’attuale paradigma economico, politico e sociale, già in crisi da qualche anno, può essere utile quantomeno rileggere e riconsiderare quelle aspirazioni.
Articolo a cura di Paolo Castelli