Cent’anni dalla rivoluzione mancata, l’inedita Marcia su Roma di Musiedlak
Si sa, quando si tratta di ricordare anniversari – soprattutto se centenari – le pubblicazioni triplicano. Gli eventi si moltiplicano. Le ristampe tornano a occupare un insperato posto in classifica. Come giostrarsi, allora, in questo marasma di uscite? L’argomento è di quelli dibattutissimi, soprattutto in merito alla sua reale consapevolezza di essere stata – o meno – una rivoluzione capace di aver mostrato una forza prorompente. La Marcia su Roma proposta da Didier Musiedlak, che non è di certo l’ultimo arrivato, parte da un comparto documentaristico di primo piano: la consultazione degli archivi – fino ad oggi inediti – dei quadrumviri fascisti Cesare Maria De Vecchi e Emiliano De Bono per parlare di come Mussolini sia riuscito nella sua ascesa. Ma non è soltanto un mero fatto di storia, che pure ci interessa da vicino. Già membro dell’École française di Roma, Musiedlak oggi insegna all’università di Parigi-Nanterre e ha elaborato con Rubbettino una tesi a partire dal sentire di quel momento, se non proprio di quei giorni. In cui storia e mito – per recuperare l’azzeccato sottotitolo – si stavano già fondendo.
La Marcia, da sempre assimilata a quel momento di massima ascesa legale del fascismo, è posta entro certi limiti e certe recinzioni dal narrare semplice ma mai semplicistico di Musiedlak. Le considerazioni sono molteplici, dalla scoperta di un legame non sempre perfetto che intercorreva tra il Duce del fascismo e Italo Balbo, alle divergenze di vedute con i fascisti della prima ora. La prosa del professore francese coglie la sfumatura – decisiva – di differenza fra la Marcia su Roma e le altre grandi rivoluzioni che hanno caratterizzato l’età moderna e contemporanea. In effetti, se nella Francia del 1789 la mobilitazione prima contadina e poi urbana non permette di avere eguali nella storia, allo stesso modo – in misura minore – nemmeno quella dell’ottobre 1917 a Pietrogrado è paragonabile alla Marcia su Roma. Infatti, pur se condotta da una minoranza, essa non può essere paragonata alla Marcia verso la Capitale, sia per coinvolgimento superiore che per coesione di forze. È su questo punto che tende ad insistere Musiedlak, forte anche del documento inedito più importante dell’intero saggio. Uno scritto interno al comando della Milizia e, di conseguenza, non suscettibile di essere gonfiato artificialmente da forze di propaganda terze. Il documento analizza le legioni impegnate nella Marcia, con un numero di squadristi valutato al più a 19.500 uomini, una stima di gran lunga inferiore a quella portata, nel Ventennio, da autorevoli fonti, come quella di Emil Ludwig. Lo storico interlocutore tedesco, l’unico ad aver avuto modo di colloquiare con Mussolini, stimava, per esempio, ad almeno 100.000 il numero di fascisti marcianti.
Gli spunti sono molti, notevoli. Poteva probabilmente essere sviscerato meglio l’argomento delle colpe di Mussolini sul delitto Matteotti – non era poi il tema-cardine di interesse – ma, al contempo, citarlo per poi abbandonarlo poche righe dopo lascia un qualcosa di non spiegato a sufficienza che stride con l’impianto generale del saggio.
Di livello, invece, è la riflessione circa la portata sul momento di questa Marcia, del suo carattere squisitamente eterogeneo (e, pertanto, in alcuni attimi, visibilmente disequilibrato e precario) che ci permette di ri-leggere l’evento con nuove lenti, in un’ottica che ci fa riflettere non nella sua risonanza nell’immediato – che fu generalmente scarsa – quanto più come unico mezzo di imitazione per assicurare un ritorno all’ordine, di sicura ispirazione per la Spagna di Franco, il Portogallo di Salazar, la Polonia di Pilsudski, l’Ungheria di Horthy e, ancora, l’Argentina peronista e il Brasile vargasiano.