I giardini degli scrittori: l’esplorazione di Luca Bergamin
Vi deve pur essere capitato, almeno una volta nella vita, di esservi sentiti, che so, sentimentali come un salice piangente, o energici come un garofano rosso. Scopriamo così che non siamo gli unici ad associare le emozioni alle piante, che anche la scrittrice Grazia Deledda si inteneriva incontrando ginestre durante i suoi cammini nei boschi sardi, o che Hemingway amava circondarsi tanto di possenti piante di banano come di delicate orchidee.
Luca Bergamin, nella sua ultima opera edita per EDT, segue gli scrittori più famosi degli ultimi secoli nei loro luoghi più cari, in un viaggio a tappe, in un’esplorazione che soddisferebbe sia un esperto di botanica che un appassionato di letteratura. Più che una vera e propria esplorazione, però, si ha la sensazione che ogni capitolo sia in realtà una ‘visita’, un bussare di casa in casa ed entrare in punta di piedi nell’universo floreale dello scrittore prescelto.
Bergamin comincia le sue visite da quelli che lui definisce ‘coltivatori’, autori che, in un modo o nell’altro, si sono dedicati con passione alla cura del proprio giardino, coltivando il proprio pollice verde. Avanziamo così nel roseto di cui George Orwell era gelosissimo, ricco di Polyantha, rose Phlox, ma anche aspidistre e salcerelle (forse proprio così nacque il romanzo Fiorirà l’aspidistra…). Procediamo poi nel giardino tzigano di Roald Dahl e nella sua Gipsy House dalla porticina gialla, costruita dallo scrittore di libri per bambini insieme al suo fedele falegname Wally Saunders (che diede spunto a Dahl per il personaggio del GGG). Infine, Pablo Neruda ci fa commuovere con il suo amore verso le alte araucarie, arbusti tropicali a cui il poeta cileno dedicò svariati e sognanti versi (‘Alta sopra la terra ti posero, dura, bella araucaria’).
Bergamin non fa visita soltanto a scrittori giardinieri; il suo cammino procede anche dagli ‘osservatori’, come il poeta Robert Frost che si lasciava ispirare ammirando gli aceri del college in cui studiava, o la scrittrice Elsa Morante, che girovagava tra i limoni e i mandarini di Procida, isola dove avrebbe poi ambientato L’isola di Arturo. Ci sono poi gli ‘esteti’, autori che amavano trascorrere le loro giornate dentro grandi e raffinati giardini: pare che Dostoevskij si rilassasse particolarmente dentro i Giardini di Boboli, mentre il Giardino inglese della Reggia di Caserta incantò a lungo il poeta Eugenio Montale.
Il percorso botanico procede bussando alle case degli ‘idealizzatori’, autori e autrici che della natura vivevano la parte più sublime, più vicina alla filosofia e al pensiero. Tra questi, Bergamin ci racconta di come Borges fece costruire un vero e proprio labirinto di siepi di bosso, creando un luogo che si ergeva al di sopra di tempo e spazio. Per ultimi, il nostro autore ci conduce dagli ‘indifferenti apparenti’ e dagli ‘architetti disegnatori’. Della prima categoria citata, fanno parte, secondo l’autore, gli scrittori Giorgio Bassani, Ignazio Silone e Sibilla Aleramo, assidui frequentatori del rigoglioso e mistico parco di Villa Torlonia, il quale ha lasciato tracce evidenti nei testi dei tre autori. Della seconda, infine, non si può non citare Jane Austen, che vantò grandi doti di architetta paesaggista: Austen costruì e curò da sola un intero cottage, trasformandolo in un rifugio profumato dove poter nutrirsi a piacimento di lettere, fiori e scrittura.
Luca Bergamin ci aiuta a ripercorrere l’eredità che la natura ha lasciato a questi autori. Di essa ce n’è traccia nelle lettere, nei diari, ma soprattutto nei romanzi che ci hanno tramandato. E se Bergamin stesso descrive l’amicizia come una quercia, o se la Ortese si definiva un albero, per ‘voler mettere in cielo le sue radici’, forse aveva ragione Stevenson scrivendo che: ‘Non è tanto per la bellezza che una foresta rimane impressa nei cuori degli uomini, quanto per quel sottile qualcosa che emana dai vecchi alberi, che così meravigliosamente cambia e rinnova uno spirito stanco.’