Il mio sottomarino giallo è un rifugio per salvare sé stessi
Una delle penne più acclamate del Nord Europa, nonché possibile premio Nobel, aggancia il mondo della narrativa con il mio sottomarino giallo; un’opera che attraversa il tempo e lo spazio e apre con maestria e delicatezza un dialogo con la parte più profonda e inascoltata del lettore. Jon Kalman Stefansson nasce a Reykjavik nel 1963 e dedica gran parte della sua vita alla letteratura; dapprima come insegnante poi come bibliotecario. Il suo stile di scrittura evocativo, è un tratto distintivo che fa da perno al cuore pulsante delle sue opere.
I temi trattati da Stefansson si incentrano sulle grandi domande dell’uomo, la vita, l’amore, il senso ultimo dell’esistenza. Un lungo e tortuoso pellegrinaggio introspettivo con l’obiettivo di fare luce (o perlomeno provarci), sulle ampie zone d’ombra della nostra esistenza. In “il mio sottomarino giallo” il premio islandese per la letteratura, innalza questo obiettivo parlando direttamente a sé stesso, in una realtà contemporanea ma al tempo stesso antica e misteriosa.
Nell’ultima fatica edita da Iperborea, l’autore fonde la narrativa al realismo magico, tra salti nel tempo, guide mitologiche, allucinazioni e ferite mai risanate. Il mio sottomarino giallo è un luogo fantastico, ingigantito dalla fantasia di un bambino di 7 anni, il quale improvvisamente viene a sapere della morte della madre, durante un viaggio in macchina con il padre. Poche parole ma precise, dirette, brutali. Un silenzio quasi glaciale che sembra quasi abbracciare, con malinconia bellezza, gli affreschi naturali dell’Islanda. Essi, come la copertina stessa di un libro, accompagnano il viaggio del lettore, nei tormenti e le gioie di un adulto che parla ad un bambino.
La metafora del viaggio, sarà l’elemento principale del libro. La notizia, ricevuta dentro un auto in movimento, in un ordinaria giornata di scuola, scatenerà nel protagonista una serie di tentativi per sfuggire dalla realtà. Sarà lo strumento per crearne un’altra più congeniale. Una panacea per il dolore in grado di nascondere la perdita che lo accompagnerà per tutta la vita.
Per farlo, il pretesto usato è in yellow submarine, canzone leggendaria dei Beatles, che più riporta alla mente di Stefansson il ricordo della madre. La stessa canzone, era stata pensata come una favola, in grado di essere veicolata ad un ampio pubblico, attraverso un linguaggio semplice ed evocativo. Il viaggio inizia in un ipotetica estate del 1969 dove l’autore incontra Paul McCartney sotto un albero in un parco di Londra. La storia assumerà connotazioni sempre più grigie e tormentate man mano che il bambino crescerà e il mondo intorno a lui comincerà a crollare; tra un condominio squallido in periferia, un padre alcolista e una solitudine sempre più soffocante. Rimane con lui la speranza donatagli dai libri, i dischi e la scrittura, come approccio terapeutico al dolore.
In questo tormento passato e presente si mischiano. Grandi eroi spirituali, guerrieri mitologici e personalità culturali della musica, dell’arte o della poesia, si interfacciano con il protagonista, pregando di essere ascoltate e di rimanere accanto a lui. Il mio sottomarino giallo è per Stefansson un continuo dialogo con il ricordo di quell’infanzia perduta, che vuole essere compresa e perdonata. E quale miglior modo per farlo, affidandosi a qualcosa che non si conosce, dal sapore mistico e onirico, come la religione.
La dottrina cristiana diviene infatti un faro di analisi, provocazione e sgomento per Stefansson. Con sfrontatezza accosta l’umano al divino, in una lettura su più livelli delle vicende narrate nei vangeli. Ed ancora il mito di Gigalmesh, idea di una primordiale creazione del mondo. Così come è primordiale il ruolo della madre per un figlio. Ogni storia, ogni esperienza è un pretesto per raccontare e raccontarsi, ma senza mi esporsi davvero.
E quale miglior modo di proteggere un bambino, all’interno di uno stravagante sottomarino giallo, che naviga nelle invisibile acque della sua immaginazione?