La discontinuità del reale nei Racconti fantastici di Mircea Eliade
Edito per Castelvecchi, il primo volume dei Racconti fantastici di Mircea Eliade naviga, a vista, tra sacro e profano.
Un imponente lavoro di catalogazione, traduzione e analisi ragionata dei racconti “al buio”. Questo, in sintesi, il lavoro fatto da Horia Corneliu Cicorta e Igor Tavilla per dare alla luce Racconti fantastici: due romanzi brevi e dieci racconti di Mircea Eliade, alcuni editi, altri che compaiono per la prima volta proprio in questa edizione. Seicento le pagine, di cui le prime cento sono una sostanziosa introduzione di Sorin Alexandrescu, storico, critico letterario e nipote, da parte di madre, di Eliade. Le opere inedite sono sei, alcune delle quali compaiono per la prima volta tradotte in italiano, altre, fuori commercio da anni, ricevono nuova linfa grazie a questa pubblicazione.
Eliade è il maestro del raccontare il fantastico, lo scruta, difficilmente lo rende intellegibile, mai riesce a parlarne in modo chiaro e diretto. Racconti fantastici è anche il tripudio dell’eterna lotta tra sacro e profano: questo lo si nota soprattutto in La figlia del capitano e Il ponte, due tra i racconti che più colpiscono: sono una sorta di simulacri del reale, venerati dallo stesso autore, con personaggi di passaggio, che non lasciano quasi mai il segno, tra loro spesso sconosciuti, in cui è il ricordo la componente fondante dei racconti.
Quello che potrebbe sembrare respingente, invece, è l’intero comparto citazionistico, a tratti con riferimenti piuttosto criptici, che non aiutano la scorrevolezza della lettura. Ne Il Serpente si raggiunge l’apice di questa incomunicabilità: una sorta di terrore ipnotico di un rapporto amoroso che sembra non arrivare quasi mai al suo culmine. Eliade scrittore “fantastico” è inquietante ma non disperato: uno scrittore che – lo dice lui stesso – alternava la sua vita “chiara”, quella di studioso di religioni, antropologia e mitografia ad un’altra decisamente – ci passerete il termine pop – più “dark”, di comparatistica religiosa con particolare interesse nei confronti dello yoga, vera pratica ultima per le sue fughe dal mondo che poi mette in pratica nei suoi racconti.
Sulla sua persona si è discusso molto, a partire, chiaramente, dalle sue tendenze oscure, a tratti estremiste, vicino agli ambienti della destra eversiva romena durante gli anni della Seconda guerra mondiale. Ma questo, nella dimensione di cui parliamo, quella dei racconti fantastici – della sua dimensione notturna – ci interessa fino ad un certo punto.
Il lavoro compiuto da Castelvecchi è sicuramente necessario, doveroso per la portata della figura di Eliade, soprattutto perché senza precedenti. Il contenuto è complesso, alcune volte forse eccessivamente e le cento pagine introduttive, pur se da un lato chiarificatrici, non aiutano spesso nella comprensione dello stile dello scrittore, entro il quale, talvolta, si rischia di arenarsi. Il rischio effettivo di non comprenderlo appieno è elevato e per i non avvezzi alla lettura di un genere di questo tipo c’è il forte pericolo di limitare la conoscenza dei racconti al solo linguaggio letterale o, al massimo, alla prima interpretazione che, con Eliade, se non sempre, porta fuori strada e a far cadere tutto l’ingombrante impianto narrativo costruito con dovizia e maestria di particolari dallo scrittore romeno, maestro del chiaroscuro in letteratura.