Dante per Manager: gestire la complessità con la sapienza del sommo Poeta

Le questioni reali del nostro tempo sembrano in qualche modo escluse dal dibattito politico. E una delle questioni fondamentali è la capacità di approcciare, e quindi gestire, la complessità attraverso una specifica tassonomia relazionale ed anche attraverso una reale consapevolezza sistemica.
Enrico Cerni nel suo ultimo libro “Dante per Manager” riesce con semplicità, ed enorme cultura, a dare risposte complesse a problemi sistemici, approfondendo la Divina Commedia e provando a dare risposte che il Poeta aveva già adombrato nelle sue terzine.
Forma e materia, la loro integrazione e il loro dispiegamento, attraverso la sapiente lettura di Enrico, ci consente di studiare i sistemi viventi evidenziando che la relazione del tutto è sempre una rete autogenerativa. Il viaggio verso l’alto compiuto da Dante ha a che fare prima di tutto con la bellezza del viaggio e con la complessità del reale.
La lettura fatta in questo libro delle relazioni, valori, intenzioni, obiettivi e rapporti di potere, ci consente di mettere a sistema una lettura della vita di tanti secoli fa, una lettura mistica e personale, come un paradigma innovativo che ci aiuta a leggere la vita di oggi, le sue resistenze e l’impossibilità, non dissimulata, di non riuscire a trovare una soluzione al tutto.
Ogni pagina di questo libro è carica di senso, e il testo ti sprona a sostare sul ciglio del significato che una mente brillante come Cerni dà alle parole del sommo Poeta. Ma c’è anche tutto il percorso professionale dell’autore che, come professionista della formazione, è riuscito a fare del suo quotidiano una ricerca incessante della potenzialità di tutte le persone che decidono di attingere alla sua capacità.
Il viaggio di Dante nei meandri del management e della vita quotidiana, avendo come compagni di viaggio Caronte, Minosse, Virgilio e Beatrice, ci regalano ore di apparente leggerezza mentre alla fine del viaggio (della lettura) un cambio di passo lo puoi ritrovare anche dentro di te.
E non senza esitazione scrivo questa recensione. Credo che questo libro sia potente per la sua capacità di evocare, nella comune ricerca di un cambio di paradigma, decine di strade diverse e alternative, che possono aiutarci a considerare un reale cambio di passo.
Le ultime pagine del libro sono potenti, emozionanti: sono la summa del cambio di paradigma che il capitalismo dovrà avere se vuole ancora essere, insieme alla democrazia, il percorso migliore della ricerca del benessere e dello sviluppo. O meglio: se la democrazia vorrà continuare ad essere il fiume dove scorre la conquista, l’innovazione, la bellezza, l’umano. Non esagero. È giunta l’ora, ed è questa, dove le cose vanno dette, ed Enrico Cerni le scrive per bene, le scrive al meglio, le centellina nel modo migliore.
Nella prefazione a questa nuova edizione del libro di Enrico Cerni, Fabio Vaccarono scrive: «Se nel Trecento le organizzazioni aziendali alle quali associamo la figura del manager sono ancora di là da venire, la mano sapiente che amministra e guida gli abitanti di una città è condizione primaria di necessità che spinge tutti gli spiriti nobili ad impegnarvisi». Spiriti nobili, impegno, responsabilità. Tutto dimenticato? Non credo. Mentre Enrico descrive il Paradiso, ci si imbatte nella descrizione dell’Empireo, la sede di Dio. Lui attorniato dagli angeli e dai beati, hanno menti collaborative e sono disposti ad anfiteatro a formare una rosa. È il ritrovo dei talenti del Paradiso, è il club aperto della superclass dell’eccellenza, sei davvero nella C-suite più elevata, scrive il nostro. Ognuno al suo posto, la persona giusta al posto giusto, la persona giusta al posto giusto genera progresso. Beatrice resta nella rosa bianca e il sommo Poeta ringrazia Beatrice per averlo condotto fin lì. Come tutte le persone di successo il poeta ringrazia, e l’attitudine alla gratitudine diventa chiave e significato del successo personale. Le persone di successo mostrano sempre gratitudine e operano con generosità. Anche l’amministratore delegato della Divina Commedia [Spa] mostra gratitudine e generosità e d’ora in poi si lascerà guidare da San Bernardo per continuare la sua scalata. E tutti sappiamo che il santo di Chiaravalle farà alla Vergine una cantico – somma preghiera anche laica conosciuta a tutte le latitudini – per impretare la grazia che Dante possa arrivare a scorgere il trono di Dio. I riferimenti bibliografici (possiamo dire dei più importanti libri di management e non solo degli ultimi cento anni) ci consentono di leggere le terzine come processi manageriali: i veri leader, i leader good-to-great sono così umili e alti, modesti e ostinati, umili e senza paura. I leader non parlano di sé, sono lontani anni luce dall’essere egocentrici, sono fieri della loro azienda e amano mettere sotto i riflettori i contributi che gli altri executives forniscono allo sviluppo del business e sono definiti l’eroismo dell’umiltà. E il Paradiso nella descrizione di Enrico diventa un esempio, neanche troppo fantastico, del collaborative minds, dove il geométra Dante, come lui stesso ama definirsi, costruttore di armonia, studioso di numeri e di regole matematiche, professionista alla ricerca della formula per la quadratura del cerchio. Un professionista che oggi manca e che ha nel suo essere ammutolito dalla bellezza la sua più importante qualità indiretta. La bellezza e lo stupore evocato da San Gregorio di Nissa portano inevitabilmente a dire al sommo Poeta: significar per verba non si porria. Perché forse lo stupore può continuare ad essere parte della nostra vita professionale?
Dante ne è convinto, perché solo così possiamo arrivare alla strada che porta all’amor che move il sole e l’altre stelle.

Ma ora torniamo all’inizio, non me ne vorrà l’autore o il lettore se ho provato a dire che lo stupore, la meraviglia, la bellezza sono degli argomenti necessari per la gestione della complessità. Per poter gustare il senso e il significato di ogni percorso potrebbe essere necessario fornirsi di una bussola che ci consenta di tradurre in scelte i nostri desideri. E se lo scopo della vita, secondo qualcuno, potrebbe essere quello di sviluppare il nostro potenziale, il nostro purpose, cioè lo scopo – la nostra vocazione più profonda – perché non lasciarsi guidare da un certo Dante Alighieri nella scoperta di questa vocazione. Al di là di ogni cancel culture, o cose simili, al di là di qualunque sia la tua professione di fede o la tua religione, la Divina Commedia si presta sempre ad essere un manuale prolifico per ogni disciplina: anche perché quando è stata scritta c’era, forse, una sola disciplina, che era nascosta sotto il nome di conoscenza, e che noi moderni abbiamo smarrito a furia di suddividere ed etichettare: per non sentire il dolore della perdita e della incapacità a capire: ci siamo fatti schiavi non del senso del percorso ma della dopamina del risultato (spesso fuori linea), che ahimè ci porta ancor di più ad essere fallibili ma senza esserne consapevoli.
Mi sono addentrato con passo silente in questa recensione. Come ci ricorda il prof. Domenico De Martino, una prima edizione di questo libro di Enrico Cerni, avevo già visto la luce nel 2010: ho la possibilità di leggere questo libro, di capire il sentimento alto dell’autore rispetto a quella che l’Opera letteraria più grande di sempre.
Il tradurre la Commedia ad uso dei manager moderni non è l’unico scopo di Enrico Cerni. Del resto, non potrebbe essere così se ci ricorda che per approcciare i libri di Dante sono fondamentali allenamento, fiato e testa. Che sono il modo per volare alto, l’aspirazione a volare in alto, quale che sia l’alto che ciascuno di noi ritiene indicato per la propria esistenza. E tra una edizione e l’altra dove tutto è cambiato, Enrico ci ricorda: “Rimane la vitalità e la carica che forniscono le letture della Commedia e di tutto ciò che Dante ha scritto. Rimane il desiderio di sapere, di cambiare per il gusto di cambiare, di non accontentarsi della superficie, di rifuggire la banalità del bene e del male. Rimane il telaio modesto delle mie conoscenze, in parte potenziato dal tempo e dalle esperienze, usato per farti alternare i pensieri tra la trama del viaggio dantesco e l’ordito del pensiero manageriale. Il risultato è il tessuto che hai a disposizione, in cui sempre meno riesci a distinguere tra quella trama e quell’ordito”.