Sul governo il Partito Democratico si divide (ancora) in due

Se faccia più o meno ridere Corrado Guzzanti è soggettivo, ma che la sua imitazione di Bertinotti abbia un grande valore politico è indubbio. Gli anni sono passati e molte cose sono ovviamente cambiate nel tempo, ma la sinistra italiana, o centro sinistra che sia, continua a litigare su sé stessa per poi spesso scindersi in ulteriori partitini che rosicchiano i voti l’uno all’altro, aprendo la strada poi alla vittoria degli avversari politici. Il sinonimo è litigare, discutere, non avere mai una idea condivisa su qualsiasi argomento. Dalla morte del PCI ad oggi con il Partito Democratico la sinistra non ha fatto altro che scindersi e infatti difficilmente ha vinto e quando l’ha fatto è riuscita comunque ad autodistruggersi.
Apocalisse post 4 marzo
Se fino alle ultime elezioni il rassicurante bacino di voti e le ancora vive speranze di progetto unitario nel Partito Democratico potevano in qualche modo ancora dare sostegno alle scelte di Renzi, le basi di quanto successo fino ad ora sono venute meno. Dopo il 4 marzo il PD ha raggiunto il 18%, ma è sotto gli occhi di tutti che è un partito morto, che ha fallito il proprio compito, se si partiva da un bel lontano 40%. Matteo Renzi, che ha qualche problema con il numero probabilmente, ha deciso di dimettersi dopo la sua seconda disfatta (la prima il 4 dicembre 2016). Alla segreteria è allora subentrato il reggente Martina, da sempre renziano di ferro, un altro rappresentante della nuova classe dirigente che avrebbe dovuto rottamare quella precedente, quella “da prima repubblica”, ma che ha finito con il rottamare sé stessa. Con le consultazioni che sono andate a vuoto per ben due mesi, il PD aveva potuto scegliere, fino ad ora, di non discutere dei risultati raggiunti, di non fare alcuna analisi della sconfitta. Per questi motivi, dopo la decisione iniziale di non partecipare in alcun modo alla formazione di un governo con Lega o M5S, non se ne è sentito tanto parlare fino ad oggi.
Tra governo e partito non mettere il dito
Tutto bene fino a quando Di Maio, capendo che con Salvini era impossibile fare un governo senza includere anche Berlusconi, ha rivolto un appello ai propri nemici giurati dichiarandosi pronto a redigere insieme a loro un contratto di governo. Nel PD si sono subito aperti due fronti: favorevoli e contrari al governo con i cinque stelle. Da questo punto in poi gli eventi sono poi degenerati: si è parlato di “conte” (quanti sostengono cosa?), di discussione libera in direzione e di discussione in Parlamento. Tra i gruppi parlamentari Matteo Renzi sembra ancora avere la maggioranza disposta a seguire la propria linea, dimostrando inoltre che se l’attuale segretario Martina può decidere quale linea seguire (anche questo punto ha creato disordini sulla legittimità o meno di Martina e soprattutto sul peso di Renzi all’interno del partito pur essendosi dimesso da segretario), è comunque lui ad avere il peso politico necessario tramite la maggioranza dei gruppi parlamentari. Va comunque osservato che la sua influenza in direzione continua a scendere e non è impensabile che si decida di eleggere un altro segretario in breve tempo per poi andare a congresso il prima possibile.
«Continuiamo così, facciamoci del male»
Prima di decidere la linea politica prossima da seguire all’interno del PD devono ancora capire quale sia il vero problema. L’ultima tornata elettorale è stata un flop assurdo per la politica di Renzi, il quale, nonostante le dimissioni da segretario, continua praticamente a svolgere il ruolo di prima. Eppure, quando lo era ancora ufficialmente, il processo più in voga era quello per il quale chi vince le primarie e fa il segretario, decide cosa fare. Le primarie le ha vinte, per carità, ma rimangono indubbiamente l’unica vittoria in un campionato di sconfitte. Bisognerebbe dunque considerare l’ipotesi di un cambio totale di ruolo per Matteo Renzi, che si dedichi all’attività da senatore, mentre all’interno del partito sarebbe forse ora di smettere di litigare su ogni argomento se non si vuole scendere anche al di sotto del 18%