Intervista a Sergio Cammariere: “Ogni album è una gioia per donare serenità e riflessione, i giovani devono partire dall’umiltà”
I grandi cantautori italiani esistono ancora. E a volte per apprezzarne pienamente l’arte è necessario attendere qualche anno in più, ma il risultato è decisamente prezioso.
Dopo due anni di assenza è tornato a far emozionare con le sue note Sergio Cammariere, cantautore e pianista tra i più importanti nel panorama italiano, un ritorno tanto atteso da parte del pubblico.
Il suo nuovo album si chiama “Mano nella Mano” uscito lo scorso settembre 2014 dove raccoglie l’eredità migliore della grande scuola della Canzone d’autore, con arrangiamenti di alta classe e sonorità di grande atmosfera.
I testi a cura di Roberto Kunstler con due incursioni liriche di Giulio Casale insieme alla collaborazione di artisti di alto profilo come Antonello Salis, Fabrizio Bosso, Roberto Taufic, Alfredo Paixao, l’incursione vocale di Gegè Telesforo e la sezione ritmica con Amedeo Ariano, batteria e Luca Bulgarelli, contrabbasso e l’arricchimento dato da un generoso Bruno Marcozzi a percussioni e batteria.
Una squadra che arriverà anche live perchè la tournè partirà il 14 novembre da Bari al Teatro Petruzzelli per proseguire a Bologna, Roma, Milano, Barletta e Napoli, una serie di concerti dove la musica sarà ancora più coinvolgente.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Sergio per parlare della sua carriera e del nuovo album “Mano nella Mano”.
Buongiorno Sergio,
Prima di parlare della sua carriera e di Mano nella Mano, vorrei iniziare da ancora prima, quando si è reso conto di appartenere al mondo della musica?
Quando frequentavo le scuole elementari ho fatto parte di un coro di voci bianche, verso l’età di 7 anni ho cominciato a suonare uno strumento che si chiama Melodica-soprano, una tastiera piccola che aveva solo due ottave e con la quale riuscivo a riconoscere l’altezza delle note ad orecchio e ho poi trasportato questa lezione delle due ottave sul pianoforte e sull’organo.
Mi ricordo che era l’inizio degli anni 70′ quando un grande compositore brasiliano Eumir Deodato aveva fatto una versione dell’Ave Maria di Schubert molto bella e moderna, l’aveva riletta aggiungendo una chitarra distorta e rock, mi piaceva tantissimo, ed ecco che mentre eravamo lì nella scuola nel coro il nostro maestro Giuseppe Campagna ci insegnò l’Ave Maria di Schubert, tra la lezione che presi a scuola e l’ascolto nel negozio di dischi proprio sotto casa mia dove mandavano sempre Eumir Deodato, imparai il brano in maniera naturale, qualche tempo dopo mi capitò di suonare l’Ave Maria ad una festa di una mia cuginetta davanti allo stupore di tutti che si chiedevano dove avessi imparato, avevo circa 7-8 anni.
Può forse sorprendere sapere che lei è un autodidatta, in che modo si è rapportato con questa sua innata qualità?
Non è stato semplice come si può pensare, tutte le persone che mi conoscevano a Crotone mi dicevano che avevo un mestiere in mano e mi consigliavano di andare a trovare fortuna altrove, infatti finiti gli studi sono diventato un cittadino del mondo, viaggiando e suonando sempre.
Io sono un autodidatta puro e credo che la Musica non è una cosa che si possa studiare, è un fuoco che nasce da dentro, è un discorso complicato, di grandi interpreti ormai ne nascono pochi.
Le sue prime note le ha composte per una colonna sonora al cinema, è stato difficile approcciarsi subito ad un lavoro così? Se lo aspettava di iniziare proprio da lì?
Sono state tutte coincidenze che mi hanno portato fino a quel lavoro dopo una gavetta enorme, ho cominciato a fare questo mestiere dopo una serie di incontri con delle persone interessate e così è nata la mia prima colonna sonora, approcciarsi al film in realtà è molto più semplice, si possono fare molte variazioni sul tema in vari tempi e tonalità, la musica essendo un linguaggio a sè che non avrebbe bisogno di parole ha una certa “malleabilità”, diciamo che è più divertente fare film perchè si trasformano più temi in una colonna sonora. Quando invece si compone una canzone è una sintesi di una griglia armonica fra testo e musica.
Mentre nel 2002 arriva il primo album, precursore di tutto quello che abbiamo ascoltato fin ad ora in ben sei album, nel tempo è stato un susseguirsi di suoni, contaminazioni, pensieri ed emozioni. Come guarda oggi i suoi precedenti lavori?
Io sono tanto affezionato a tutta la mia produzione anche se ho un occhio di attenzione verso la mia nuova, per esempio il mio primo disco “Dalla pace del mare lontano” ha avuto dieci anni di incubazione e fu una session live di due giorni, ho lavorato sempre in modo diverso agli album e questa volta in particolare siamo stati attenti al suono per regalarlo un limpido e che donasse momenti di riflessione.
Diciamo che rispetto agli altri a quest’ultimo ci tengo particolarmente proprio per questo, negli anni la tecnologia è cambiata, siamo passati in battibaleno dal vinile al cd e ora arriviamo alla musica liquida. Però la sostanza non manca certamente.
Ha partecipato per ben due volte al Festival di Sanremo, in edizioni molto differenti fra loro, prima nel 2003 e poi nel 2008, quali cambiamenti ha trovato? Pensa ci possa essere un ritorno allo stile dei grandi cantautori italiani?
Partiamo dal fatto che i grandi cantautori italiani sono stati quelli della scuola genovese e fra questi il mio amico Bruno Lauzi, poi Umberto Bindi, Fabrizio de Andrè, Gino Paoli e Luigi Tenco, da qui le nuove generazioni di cantautori che hanno messo attenzione al linguaggio della lingua italiana sono stati Guccini e De Gregori, per citare la generazione prima di me, poi arriva la mia composta da Luca Barbarossa, Roberto Kunstler, Gazzè, Fabi, Silvestri che possiamo chiamare scuola “romana”, personalmente mi sento un continuatore della vecchia scuola anche se abbraccio diversi stili come la musica latina, jazz e fusion jazz.
Il discorso di Sanremo è particolare, ogni volta è una coincidenza astrale, in questi anni, escludendomi, un artista capace di fare un grande lavoro sul testo è stato Simone Cristicchi con “Ti regalerò una rosa”, attraversò 8 mesi di preparazione per quel brano e quello che manca oggi è questo, c’è poco lavoro sul testo, quando tornerà ad esserci la qualità si alzerà di nuovo.
E aggiungerei anche tornare a valorizzare la Musica portando l’orchestra sul palco e vedere questi musicisti suonare, la scenografia naturale di un festival della musica, altrimenti ci ritroveremo sempre il solito format con gare, eliminazioni e quant’altro.
Uno stile che lei porta avanti anche nel nuovo disco Mano nella mano, nato in due anni di “silenzio” dalle scene musicali, come ha lavorato alla realizzazione dell’album?
L’abbiamo realizzato con un’equipe di musicisti che collaborano con me da sempre soprattutto puntando sul suono, molto limpido, è il migliore sotto questo punto di vista perchè la ricerca è avvenuta cercando di far convivere al meglio un pianoforte, una chitarra e anche la fisarmonica, c’è stato un grosso lavoro di editing per permetterci di suonare tutti insieme.
Il titolo è significativo, un’unione, una sicurezza, quasi una promessa…
Si penso proprio di sì, è condivisione, percezione, con questo titolo e canzone volevamo parlare di elementi spirituali e anche di più intimi.
Tra i brani è sempre presente l’influenza dei paesi dell’Africa, cosa l’ha colpita maggiormente di questi paesi che le permette di comporre?
C’è una grande ricchezza culturale e musicale, ci sono dei canti di musica gnawa che riescono ad affascinarmi nonostante abbiano un accordo solo, musica povera ma ricca di ritmo, è molto stimolante per la ricerca di sensazioni e suggestioni nuove.
Per esempio il brano “Ed ora” nasce da un giro di basso riff gnawa che ho assimilato ad Essaouira tramite un maestro di questo tipo di musica, lui mi ha fatto sentire l’inizio della canzone che è un traditional di questo genere poi ho sviluppato tutto il resto in SOL maggiore, è un canto di libertá e di fratellanza.
L’album si avvale della collaborazione di musicisti davvero di alto livello come Antonello Salis, Roberto Taufic, Alfredo Paixao ed altri con collaborazioni interessanti come quella con Gegè Telesforo, che aria si respirava in studio e durante la preparazione?
Io ho filmato molto di quei giorni, ho la passione di girare con la telecamera ed ho ripreso tutta la parte del recording dalle prove, è stata una grande gioia, una vera festa perchè ognuno ha messo il proprio mondo all’interno e non ho fatto altro che gestire questa magnificenza, togliendo o aggiungendo delle parti, in sostanza è rimasto l’approccio di quando un musicista esegue un brano per le prime volte, quella spontaneità che si perde dopo un po’ diventando quasi meccanica, per questo sono andato a prendermi le prime due session mantenendo quella naturalezza, così come per il mio pianoforte ho lasciato quello delle voci guida senza ritoccarlo.
I brani di Mano nella Mano trattano temi molto diversi fra loro, dall’amore ai dilemmi esistenziali, con un omaggio speciale a Bruno Lauzi, ha voluto inserire veramente di tutto, la scelta com’è avvenuta? non dev’essere stato facile visto il risultato..
Per questo album ho lavorato a circa 20-25 canzoni, ne ho registrate circa 18 e poi sono arrivato alle 10 canzoni che sono entrate a far parte di questo album, si fa sempre una scelta attenta per mantenere una certa impostazione. Ci sono dei brani che non pubblico adesso ma che pubblicherò la prossima volta, in particolare ho un pezzo che da tre dischi non riesce a entrare in un album perchè troppo funky e diverso dal resto, ma le possibilità sono tante e non escludo di pubblicarlo più avanti, Mano nella Mano ha tante chicche che dal vivo si trasformeranno ancora di più e daremo a tutto, come sempre, una veste nuova.
“Così solare” la traccia numero nove dell’album è uno dei suoi primi componimenti giovanili, perchè è rimasta così tanto tempo nel cassetto?
Per questo album sono riuscito a trovare il suono e l’arrangiamento giusto, poi racconta un rapporto semplice, un amore vissuto con naturalezza, scrivendo canzoni dall’85 sono diventato un “archiviatore” di testi, bozze e ritornelli che potrebbero diventare una canzone, prima o poi prenderanno vita.
Anche in quest’occasione un brano strumentale chiude l’album: Pangea, ha scelto nuovamente questa formula.
E’ una scelta legata alle colonne sonore, durante i miei concerti ci sono sempre dei momenti di piano solo, molto lunghi, che nei dischi non si possono mettere altrimenti diventerebbe un concept album, quindi mi ritaglio questo spazio per lo strumentale, il brano nasce per una serie di composizioni per pianoforte mai pubblicate a cui ho voluto aggiungere la fisarmonica di Antonello Salis, per me grande motivo di gioia.
Un giovane che vorrebbe iniziare ad avvicinarsi al mondo dei grandi cantautori, da dove dovrebbe partire?
Secondo me dall’ascolto, ascoltare da dove veniamo perchè abbiamo tesori immensi, basta sentire Carlo Alberto Rossi, Domenico Modugno, Bruno Martino, la scuola genovese che ho citato prima, Sergio Endrigo, tutti cantautori che io stesso sono andato a cercarmi di un’altra generazione, quindi riscoprire tutta la musica del passato, farne tesoro, avere pazienza ed essere caparbi e tenaci per raggiungere l’obiettivo.
Sergio Cammariere è uscito fuori a 40 anni, al mio primo Sanremo avevo 40 anni, è fondamentale l’umiltà, quando ero giovane all’età di circa 20 anni ero molto pieno di me, sapevo di avere i numeri però questo mi metteva in contrasto con chi voleva avvicinarsi alla mia persona e arte, creavo un muro, diciamo che con l’età e la maturità sono riuscito a capire cosa significa il senso di gratitudine, il rispetto e l’umiltà.
Il consiglio che posso dare è quello di suonare sempre e dappertutto, con qualche sacrificio e poi il successo arriverà quando meno te lo aspetti.
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Marco Rimmaudo
26 ottobre 2014