Songs of Surrender degli U2 è un godibile tuffo nel passato

Venerdì 17 è uscito il nuovo-vecchio disco degli U2: 40 brani riarrangiati dei loro più grandi successi. Ci sarà piaciuto?

The Edge
L’album è ascoltabile in varie versioni: dalla classica CD con 16 brani, alla deluxe contenente 20 pezzi, fino ai vari vinili in edizione limitata (e i vari canali di streaming) che contengono tutti e 40 i brani. Dieci a testa, per singolo componente della band, il primo riservato a The Edge, il chitarrista. In apertura due tra i più grandi inni mai composti dal gruppo irlandese: One e Where the Streets Have No Name, reimmaginate in una versione più acustica (diremmo più propriamente stripped down) ma che si fanno apprezzare molto. Altro discorso per le altre due perle di questo primo quarto di disco: Beautiful Day e Pride (In the Name of Love), usciti già come singoli, che abbiamo apprezzato ma fino ad un certo punto. Hanno inciso poco, non come dovevano e, giustamente, gli preferiamo di gran lunga le loro versioni più vecchie: la prima contenuta in All That You Can’t Leave Behind e la seconda in The Unforgettable Fire, quarto album datato ormai 1984.
Larry
Il secondo quarto di album è dedicato invece alla figura di Larry Mullen, che ha annunciato di non stare bene e di non prendere parte al tour con gli U2 previsto per il prosieguo del 2023. In questo disco abbiamo Ordinary Love, The Miracle (of Joey Ramone) e City of Blinding Lights, un brano famoso soprattutto per essere suonato a 139 beat per minuto in due chiavi armoniche ben distinte: La bemolle maggiore nei versi e Mi bemolle maggiore nei ritornelli. The Miracle è probabilmente la miglior riuscita tra tutte: probabilmente a causa del fatto che la voce di Bono perde d’intensità nei brani più “antichi”, mentre resta invariata o acquista ancora più valore dai brani di Songs of Innocence in poi.
Adam
La penultima decina che andiamo ad analizzare è quella in cui spicca il basso di Adam Clayton, un po’ messo da parte negli altri tre blocchi. In apertura abbiamo due mostri sacri del calibro di Vertigo e I Still Haven’t Found What I’m Looking For, una che, riarrangiata, rende meglio rispetto all’altra, che comunque, sia chiaro, abbiamo apprezzato. Vertigo è una perla rara, reimmaginata con archi e una chitarra acustica che fa da contorno ad un pezzo già di per sé strepitoso. If God Will Send His Angels e Desire aggiungono, alla tracklist già molto nutrita, i suoni di Pop e Rattle and Hum, due album che non erano stati toccati nei primi venti pezzi proposti in precedenza.
Bono
E si chiude con la voce. With or Without You e Sunday Bloody Sunday non raggiungono più la vetta canora a cui Bono ci ha abituato negli anni (potremmo ormai dire decenni) passati e il nuovo mix non ci soddisfa più di tanto, ma sono dei brani cult, che hanno fatto la storia del rock e non possiamo non goderceli che in silenzio assoluto. Si chiude con 40, in origine la decima e ultima traccia dell’album War, un inno (in realtà è un Salmo 40 leggermente modificato) ed è un brano noto ai fan degli U2 poiché dal vivo, quando la band irlandese la suona, sono soliti lasciare il palco uno alla volta, di modo che il pubblico possa cantare a suo piacimento, come una litania conclusiva dell’esperienza dal vivo le parole: “How long to sing this song?”.
In generale Songs of Surrender è un grande album dei ricordi, come se gli U2, dopo decenni di carriera, si fossero rimessi in posa per scattare una foto vecchia ma che ha ancora tanto da raccontare. Alcuni brani funzionano meglio di altri (Vertigo, per l’appunto, una su tutte), ma nel complesso è un album necessario, soprattutto, magari, per i fan più giovani: potrebbero così scoprire vecchie b-side o la duttilità degli U2, la loro cifra stilistica fin dagli esordi.