I Muse sbarcano verso nuovi orizzonti con Will Of The People

Il nono album in studio dei Muse trasuda novità: alcune che ci hanno colpito, altre meno. Ecco la recensione di Will Of The People.

I Muse nel 2022
Da Showbiz ne sono passati di anni, ben 23 ad essere precisi. E i Muse si sono, col tempo, evoluti, sono diventati grandi, i loro ascolti son cambiati e così, di pari passo, anche il loro pubblico è mutato. Will Of The People arriva sul finire di agosto, alle ultime luci e tramonti estivi per donarci un disco nuovo, una ventata d’aria fresca, con la precedenza data ai sintetizzatori più che alle chitarre, più alla disco-music rispetto al rock viscerale a cui ci ha abituato spesso il trio di Teignmouth.
Quattro sono stati i singoli che hanno anticipato l’uscita dell’album, probabilmente la vera nota dolente di un disco tutto sommato che si guadagna una piena sufficienza (e forse anche qualcosa in più). I singoli, dicevamo, sono forse l’errore più grossolano dell’intero lavoro: con Won’t Stand Down sembra che i Muse abbiano tentato di affacciarsi in modo elementare al mondo metal, ma, secondo il nostro parere, non è ancora arrivato il momento propizio. Il singolo, come anche il successivo solid pop Compliance, peccano di ripetitività, il secondo addirittura, a tratti, estenuante, esagerato nei suoni synth che lasciano poco spazio all’idea di Muse che ci siamo fatti negli anni. È bello cambiare, ma stravolgere alcuni punti fissi di un gruppo è spesso un’operazione rischiosa.
Killed Or Be Killed e Ghosts (How Can I Move On), invece, sono dei capolavori
Nota di merito riservata al binomio Killed Or Be Killed (sentiamo i fasti di una Futurism appartenente al bel Origin Of Symmetry che fu) e a Ghosts (How Can I Move On), una ballad in pieno stile Bellamy, una delle vette piano solo raggiunta dalla band e dalla vocalità, sempre clamorosa, del frontman della band inglese. Un interesse, dopo un paio di ascolti, ce lo ha anche destato We Are Fucking Fucked, tra Queen e Queens… Of The Stone Age, si naviga verso territori hard rock tipici dei Muse di Absolution (ci è venuta subito in mente Stockholm Syndrome in effetti).
Di livello, soprattutto per il significato, è invece Verona, la città di Romeo e Giulietta, semi-citati nel testo. L’amore trasmesso in questo pezzo è quello che i Muse provano per i loro fan e quando sono così chiari e diretti, la canzone risulta sempre essere funzionante.
Un possibile giudizio finale
È strano dare un giudizio su un album molto disunito come Will Of The People: dieci tracce che hanno poco di concept (a cui invece ci hanno abituato in modo quasi statistico i tre del Devon nelle loro precedenti uscite), che hanno tutte poco in comune. L’idea, secondo noi riuscita per metà, è quella di aver creato una sorta di greatest hits di inediti che quando allarga i propri orizzonti e tocca corde non proprie dei Muse (si guardi anche la title track Will Of The People che è un plagio assoluto a Beautiful People di Marilyn Manson o a Liberation che trae ispirazione, per usare un eufemismo, dai Queen) il giocattolo sembra non funzionare e rischiare di rompersi. Alla fine, però, non si spezza mai, magari ne esce un po’ stiracchiato e poco armonico, ma resta sempre, dalla loro, una produzione di qualità e altissimo livello.
Adesso sotto con il tour mondiale, che, dando anche uno sguardo ai video, si preannuncia carico di effetti speciali ed emozioni che soltanto una band come i Muse sa trasmettere.