I “nuovi” Kasabian di The Alchemist’s Euphoria non ci hanno convinto

Il dopo Tom Meighan si apre con The Alchemist’s Euphoria, il nuovo album dei Kasabian a distanza di cinque anni dallo scorso. Ci avrà convinto?

Ha senso chiamarli ancora Kasabian?
Chiariamolo subito: parlare di Kasabian senza la voce di Tom Meighan è pressoché inutile. Perché i Kasabian sono nati con e grazie al suo apporto, sono cresciuti in termini di ascolti con la puntuale vocalità delle Goodbye Kiss, Bumblebee e Club Foot di turno e il termine Kasabian oramai è inscindibile da Meighan e viceversa. Posto questo, The Alchemist’s Euphoria è un album che ha tutte le carte in regola per essere definito strano ed ambizioso. Dimentichiamoci ogni tipo di sonorità pacata, c’è molto di elettronico, c’è molto, ahinoi, di Sergio Pizzorno solista. Sembra un flusso di coscienza continuo di The S.L.P. (come amava rinominarsi Pizzorno nella release del suo unico album solista datata 2019). C’è effettivamente poco “di gruppo” in questo album dei Kasabian e alcuni brani sono dei giri a vuoto clamorosi.

Cosa non ci ha proprio convinto
Partiamo da un brano, esemplificativo: Rocket Fuel. Confuso, inutilmente lungo e esageratamente processato e sintetizzato in studio. C’è poco o nulla della clamorosa dimensione live tipica dei Kasabian, dei cori che li hanno sempre contraddistinti nei concerti. I Kasabian del solista Pizzorno sono un miscuglio mal riuscito di elettronica e dance-rock che non prende mai il sopravvento. Non ci sono climax degni di nota in praticamente nessuno dei dodici brani presentati in questo ultimo lavoro e la vocalità di Serge non raggiunge, ovviamente, le vette sperate. Le canzoni sono come racchiuse in una bolla e la nostra grande preoccupazione è quella che dal vivo potrebbero presentarsi molto differenti, per via di un uso esagerato di sintetizzatori ed effetti irreplicabili in un concerto dal vivo.
Da cosa poter ripartire
The Alchemist’s Euphoria è un giro a vuoto. Un errore di medie dimensioni, che, comunque, non intacca i Kasabian per come li conoscevamo un tempo. Ripartire per ristabilire le gerarchie di un gruppo potrebbe essere un passo da compiere, ma non sappiamo se gli altri due componenti stabili del gruppo se la sentano o ne sentano la necessità. Musicalmente parlando salviamo ALYGATYR, che ci ha ricordato i primi Kasabian, THE WALL, una solida ballad pop e i due strumentali æ space e æ sea, per il resto risulta difficoltoso anche l’ascolto continuo e prolungato. È una vera e propria bocciatura, perché l’innovazione in un gruppo è spesso accettata e ben accolta, ma qui, riteniamo, si sia andati eccessivamente oltre, snaturando completamente il senso e il cuore di cosa vuol dire essere dei fan dei Kasabian.
Interessante, c’è da dirlo, la cover dell’album e tutta la veste grafica dark e steampunk che ruota attorno a questa pubblicazione.
Rimandati alla prossima.