Lo straordinario ritorno di Paolo Nutini con Last Night In The Bittersweet ci ha emozionato

Era dal 2014 che non avevamo più sue notizie. Addirittura su Twitter si erano create pagine satiriche sul “nuovo album di Paolo Nutini” che, certi non sarebbe mai arrivato, facevano incetta di like e follower.
Alla fine della fiera, però, li ha smentiti tutti: Paolo Nutini è tornato in questo 2022 con Last Night In The Bittersweet. Era dal 2014 in poi che, anno dopo anno, silente, ha cominciato a collezionare e selezionare questi sedici brani, forse troppi, ma il ritorno sulla scena musicale di Paolo Nutini va accolto come si deve e questa è la nostra recensione.

Come suona Nutini dopo otto anni di pausa?
Il disco è di per sé un’epopea multisensoriale, che spazia dal classico rock, all’indie britannico, fino a toccare vette di elettro-post-punk (interessante in questo senso è proprio la traccia d’apertura del disco: Afterneath).
Molti sono i singoli che hanno anticipato l’album: “Lose it”, “Through the echoes”, “Shine a light”, “Petrified in love” e “Acid eyes”, quasi come a voler, progressivamente, avvisare i suoi fan (e non) del suo ritorno sulle scene. Last Night In The Bittersweet è un banco di prova impressionante, già dall’artwork della copertina: Paolo, nella sua stanza, a comporre, comporre e comporre, per lungo tempo, con il suo piano e la sua chitarra da una parte. Non è più quello di New Shoes e lo sa benissimo, per questo ha deciso di provare altro, qualcosa di differente (ma non troppo) e non ha sbagliato colpo.
Il manifesto programmatico del disco e del suo bene/malessere che ci trasmette è ben sintetizzabile in Radio: “And there’s nothin’ on the radio / They’re all talkin’ like they’re fallin’ in love”, la mancanza di novità è quella cifra che, prima di tutto, non lo faceva star bene con se stesso e per questo motivo ha preferito prendersi molto tempo per sé (tranne un’eccezione: nel 2019 ha suonato in un pub scozzese al piano bar, come se nulla fosse).
Quali sono le influenze di questo nuovo lavoro?
Il nuovo disco di Nutini, con i giusti paragoni, è associabile anche ad una metrica à la Tom Waits in cui si trova a metà tra l’essere un Neil Young e un Bob Dylan. Saltando vorticosamente tra questa triade di mostri sacri riesce comunque ad essere duttile e originale e forse ci eravamo anche dimenticati quali sonorità potesse riuscire a cogliere. Questa è l’impressione, ad esempio, che fa Acid Eyes, un pot-pourri di pop, kraut-rock e spigolosità tipiche del suo cantato.
Oltre però alle grandi capacità musicali, notiamo un doppio giro a vuoto, con Abigail, forse un folk che ancora non rientra nelle sue corde e Julianne che strizza un po’ troppo l’occhio ai vari Cat Stevens di turno.
Giudizio finale
Ma i ritorni sono sempre emozionanti. Paolo Nutini quando scrive canzoni d’amore è uno dei migliori sulla scena e Last Night In The Bittersweet contiene molti esempi di questo genere. Un appunto dobbiamo darlo anche all’Interlude, Stranded Words, con un testo meraviglioso (forse il migliore dell’intero lavoro) a cui si può soltanto far silenzio per due minuti e mezzo e lasciarsi coinvolgere a 360 gradi.
Pubblicare oggi un album da 16 pezzi non è per tutti, anche se si tratta di un comeback veramente inaspettato, perché pesante, perché con il rischio, alto, di poter stancare l’ascoltatore. Paolo Nutini riesce a silenziare queste voci e far parlare la sua di voce, o meglio, farla risuonare nelle orecchie degli ascoltatori e il vero obiettivo da raggiungere quest’anno sarà quello di riuscire a vederlo dal vivo, con questo Bittersweet Tour, forse più introspettivo degli altri precedenti. Siamo, almeno anagraficamente, cresciuti tutti e Paolo Nutini, a 35 anni, con la sua voce, ci fa tornare alla mente quei ricordi di almeno 8 estati fa e già per questo dovremmo ringraziarlo infinitamente.
Ma Last Night In The Bittersweet non è soltanto ricordi, è novità, senso di innovazione e trasmettere questo, anche all’ascoltatore più accorto e attento è sempre un operazione complessa e rischiosa, ma Paolo ci è riuscito magistralmente.