Il ritorno dello Space Cowboy. Il nuovo album di Tommaso Paradiso

Abbiamo recensito per voi il nuovo album di Tommaso Paradiso
Space Cowboy: no, non si tratta, purtroppo, di un tributo all’omonima hit internazionale dei Jamiroquai, o di una serie di cover ispirate a David Bowie (Space Oddity, Hallo Spaceboy). Si tratta invece del primo e nuovo, o presunto tale, album di Tommaso Paradiso da solista, uscito proprio all’inizio di quest’anno.
Il frontman di The Giornalisti, boy band indie in salsa nazionale che ha tenuto piede per una decina d’anni (dal 2009 al 2019) e di cui si può dire apertamente che il vero e unico protagonista è sempre stato Paradiso, esce allo scoperto con un nuovo (ma non inedito) progetto musicale. Tanto che, nel nuovo album, non si percepisce alcuna novità o innovazione sonora, narrativa o testuale, rispetto alle precedenti operazioni (da solista o in gruppo) che hanno riscosso un enorme successo.
Anticipato dall’uscita di alcuni singoli, dopo una pausa di riflessione che ha visto Paradiso impegnato in varie vesti (cinematografiche e persino gastronomiche), per una leziosa quanto affettata componente auto denigratoria, Space Cowboy è stato affettuosamente ribattezzato e italianizzato dal compositore “Vaccaro dello spazio”. Ma, sinceramente, c’è poco da ridere di questo album, fintamente intimista: undici tracce senza soluzione di continuità.
Tra omaggio e “auto plagio”
Ovviamente, mettendosi nei panni di un giovane palpitante in piena crisi da pre-esame di maturità, Space Cowboy è un prodotto melanconico sublimato dalla voce calda e superbamente accattivante di Tommaso Paradiso, che come al solito riempie i suoi vuoti cosmici con gli immancabili “urletti pseudo-consonantici” tipici dell’indie.
Rubando sonorità a Venditti, De Gregori (in Magari no), agli Stadio (in Amico vero, feat. Franco 126), a Dalla (non è casuale l’uscita il 4 marzo, in memoria della nascita del compianto cantautore bolognese), la perla dell’indie rimane aggrappata con tutti gli artigli alla sua comfort zone, al suo marchio di fabbrica autentico e perfettamente orecchiabile.
Ai limiti dell’auto plagio e dell’auto elogio, Tommaso Paradiso regala ai suoi fan in trepidante attesa un disco confortante, in cui possono ritrovare e ritrovarsi, come se nulla fosse mai mutato. Un’opera gattopardiana, a voler essere eufemistici e garbati, in cui forse solo Silvia si distingue per la sua freschezza e per il ritmo più azzardatamente dinamico.
I testi della tracklist ricalcano quella semplice delicatezza narrativa a cui ormai Paradiso ha abituato i suoi ascoltatori; ma l’atmosfera è decisamente più malinconica e affranta. Lo rivelano le avvilite e cupe sonorità e le parole malinconiche di testi come Guardarti andare via o la più nota Magari no, di cui peraltro spiazza l’improbabile siparietto country sul finale del video.
Vita, che si basa su un riff evocativo dalle atmosfere da saloon, evoca la foresta, l’America, Trump, il bar che non chiude mai: tutte queste tematiche riposano su un equilibrio estremamente precario e traballante.
Senza addentrarsi troppo nei dettagli analitici e bypassando analisi musicologiche e testuali infruttuose, Space Cowboy resta un’ammiccante operazione che strizza l’occhio ad un pubblico assuefatto e avido di rassicuranti certezze musicali.