Sanremo 2022, o su come specchiarsi senza vedersi

Un altro Sanremo è terminato e siamo qui a tirare le somme di un festival che quest’anno ci ha restituito uno stralcio di apparente normalità. Ognuno a modo suo certo, chi in famiglia, chi con gli amici, chi solo e, ovviamente, chi proprio non ne ha voluto sapere, sempre fedele alla linea. Un po’ come accadeva una volta, senza quella pretesa di focolare domestico che lo ha contraddistinto negli inverni più duri della pandemia, non più assurto a simbolo di rinascita.
Questo è stato il vero merito della 72ª edizione del Festival della musica italiana, non parlare più della pandemia, forse ce lo meritiamo dopo tutto. Possiamo provare a dimenticare Irama in dad, guanti, mascherina e carrello per i premi, i contatti proibiti.

E tolto questo cosa ci torna indietro? La vera essenza di Sanremo, speculum societatis che a cadenza annuale ci ricorda vizi e virtù del popolo italico.
Una parola, non di più, va spesa per Amadeus che in queste edizioni ha vestito i panni (scintillanti) di un traghettatore, ereditato il feudo dell’Ariston da Baglioni nel lontanissimo 2019, ha portato avanti uno svecchiamento importante. Proprio quell’anno vinse sempre Mahmood, cantava Soldi e non aveva ancora sfondato. Nessuno parlava della sua voce, era più interessante interrogarsi su quel nome così esotico e sulle sue origini.
E non ci siamo smentiti neanche quest’anno quando Lorena Cesarini è stata annunciata co-conduttrice della seconda serata. Gente moderna noi italiani, al passo coi tempi!
L’intervento di Checco Zalone è stato così intensamente criticato che di certo, in ambito accademico, verrà ridiscusso il significato di satira. Non diamo la colpa a nessuno, ma non era il medioevo quando è stato bocciato il DDL Zan. In fondo, c’è chi fa ancora battutacce da spogliatoio anche in prima serata. Per fortuna, Drusilla Foer ha portato così tanta eleganza da compensare quella che mancava agli altri.

E che belle le abitudini degli italiani! Con il loro affetto incondizionato verso la famiglia, verso le nonne e i nonni che ce li porteremmo ovunque, anche sul palco dell’Ariston. Non ce ne vogliano alcuni mostri della musica italiana, ma la platea non è un così cattivo posto. Non dobbiamo essere troppo cattivi, dopotutto, quanto sono carini Orietta e Rovazzi?
Achille Lauro non indigna più come una volta, rischia di passare di moda, solo qualche alto prelato si scaglia dal pulpito, più per abitudine che per altro.
E se tatuaggi sul viso e battesimi in diretta non ci fanno chiacchierare al bar, ci toccherà ricorrere a uno dei nostri argomenti preferiti: “Ma come si è vestito?”. Italiani, popolo di stilisti!
Dalle camicette di Blanco agli abiti eterei di Elisa, le canottiere di Giovanni Truppi e le giacche stroboscopiche del presentatore.

E come non parlare dei fiori, arma affilatissima, da rifiutare o accettare, vestendoli ancora una volta di una forza devastante, d’altronde comunichiamo più con i simboli che con le parole. Fiori velenosi dunque, e allora, che ce ne siano davvero per tutti! E che siano ovunque, dal palco all’ultima galleria, da Trieste in giù!
Magari avessimo un po’ della gentilezza di Michele Bravi o della venerazione che Lauro ha mostrato per Loredana.

Ah la musica, già! Diciamo qualcosa anche su quella. Da Highsnob a La rappresentante di lista, Iva Zanicchi e Gianni Morandi, il ritorno di Elisa, la poesia di Truppi e l’elettronica di Dargen D’Amico, le noti neomelodiche di Ana Mena e il megafono di Giusy Ferreri, dentro ci abbiamo messo di tutto e va benissimo. Sin dalla seconda serata c’è stata davvero poca competizione, solo qualche dubbio sull’assegnazione del primo posto, ma il podio era già segnato. Mahmood ha una voce unica, Blanco è inarrestabile. Elisa, ha portato il brano più sanremese – ne conviene anche l’orchestra – ma l’Eurofestival sentirà i Brividi. Che dire su Gianni? La canzone è proprio tua, ti vogliamo bene, lo meriti.
Questa musica italiana, ci piace. La ascoltiamo, la cantiamo, la denigriamo. Dentro ci troviamo spazio per tutti e per tutto, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Nella musica ho detto, non al Festival, non in Italia.
Sanremo va salvato, trattato male e rispettato, amato e odiato in modo schizofrenico, visto con distrazione e lucidità. Sia mai in uno di questi momenti, riusciamo a capire che in questo circo stiamo ballando anche noi.