Perché i Måneskin hanno avuto successo?
Come ha fatto una band romana a toccare le vette della musica mondiale aprendo il concerto dei Rolling Stones e, al contempo, a vincere Sanremo e l’Eurovision; tutto nello stesso anno?

Per comprendere il perché del successo dei Måneskin dobbiamo partire da un assunto-chiave: in Italia, attualmente, esiste o, meglio, (prima dell’arrivo dei Måneskin) esisteva un enorme buco musicale-commerciale: quello dei gruppi catalogabili con l’etichetta “rock”. Il quartetto romano è riuscito nell’impresa di occupare quello spazio vuoto, riempiendolo con due album, una vittoria a Sanremo e all’Eurovision Song Contest e aprendo, per chiudere l’anno in bellezza, il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas.
Ma come per qualsiasi fenomeno che si rispetti, bisogna partire dalle origini, per analizzare quei Måneskin che, presentandosi con Chosen e Recovery fecero sobbalzare dalla sedia i giudici di X Factor (con un Fedez ancora visibilmente stordito che, dicono, stia ancora annuendo al “Now” finale di Damiano alla sua prima audizione).
Alle origini del “problema”
I Måneskin sono una conseguenza, il prodotto di una cultura musicale dei primi anni Duemila legata ad un retroterra della scena pop sempre presente in ogni decade. E funzionano. Non solo perché al passo con i tempi, ma perché rappresentano una “rottura” con il resto della musica che, anche l’ascoltatore più distratto, può ascoltare su Spotify o di passaggio in radio.
I Måneskin, dicevamo, sono un prodotto vincente e in quanto tale, anche costruito per vincere. Hanno scelto di rappresentare una cultura che, almeno inizialmente, non gli apparteneva: da ragazzi per bene, “indie” e godibili per una ristretta (ma, attenzione, non indifferente) cerchia di fruitori di musica dal vivo, hanno cambiato il loro modo di essere.
Forgiati dall’esperienza dei live ad X Factor, si sono costruiti un personaggio, col tempo evoluto e, ad oggi, punto fisso delle loro performance live. Il binomio “belli e dannati”, che agli esordi non era contemplato da nessuno dei quattro, è divenuto, invece, un mantra che ha fatto la loro fortuna.
Il successo dei Måneskin è tale perché indice di cambiamento, quindi. E loro, il cambiamento lo hanno notato dapprima nella società (forse anche un po’ inconsciamente) e poi lo hanno riversato nella loro musica. I Måneskin, perciò, non rappresentano nessuna rottura col genere rock inteso nella sua accezione più pura, ma più propriamente un distacco.
È per questo motivo che non possono essere catalogati come “rivoluzionari”. Sono stati capaci, però, di individuare un bisogno nella cultura musicale, dapprima italiana e, successivamente, mondiale e metterlo a profitto. Sono uno dei più riusciti esempi di marketing degli ultimi dieci anni (almeno) e il merito è (anche, ma non del tutto) loro.
Parliamo di musica
E poi, abbiamo la musica. Con Il Ballo della Vita prima e Teatro D’Ira Vol.I poi, abbiamo assistito alla messa in musica di un progetto sicuramente interessante e di indubbia qualità.
Mentre il primo album si mostrava come acerbo, il secondo mostra in modo più puntuale anche le capacità dei quattro, i quali hanno oggettivamente talento da vendere. I riff di chitarra ben congeniali, una voce graffiata e capace di arrivare a molti cuori, la cassa dritta di Ethan e i bassi prodotti da Victoria creano, miscelati assieme, un mix di sicuro successo.
Il limite dei Måneskin è anche il motivo del loro successo: il non essere rock. O meglio, lo scimmiottarlo senza mai mostrarlo poi veramente in musica. Strizzare l’occhio al glam, al rock americano e ad atmosfere di “già sentito”, miscelandole assieme, non producono rock, c’è poco da fare. Creano, però, successo, perché sono composizioni già assodate nella cultura musicale inconscia di ognuno di noi.
Interessante è anche notare un’altra questione: la loro canzone più ascoltata su Spotify è Beggin’, una cover. E questo può e deve far riflettere molto. Il vero cavallo di battaglia di una band di punta come i Måneskin è una canzone non fatta da loro. Certo, è stata riarrangiata, ripensata dai quattro e riproposta in una salsa del tutto innovativa, ma resta il fatto che il retroterra non è loro. Per dire qualche numero: I Wanna Be Your Slave è 300 milioni di ascolti indietro rispetto alla canzone presa in prestito dai Four Seasons datata 1967.
Il successo della band romana è, quindi, anche un problema, che va oltre il mero provincialismo del mercato musicale italiano. Il problema, come afferma acutamente Bruno Giurato in un articolo su Domani, è che i Måneskin non hanno una propria musica da vendere. Hanno di certo talento (anche quello da vendere, o già venduto) ma che non si interseca con la loro capacità inedita di musicare la loro incommensurabile inclinazione al successo.
Hanno conquistato i cuori ma non la razionalità e il pericolo più grande è che possano scoppiare da un momento all’altro: non puoi conquistare veramente il mondo della musica se non ne crei un profilo inedito. È proprio per questo ed è da qui che ne deriva il loro successo, inizialmente in Italia: il Bel Paese non ha una tradizione popolare forte e per questa ragione si aggancia alle mode del momento. La “rock” band in salsa romana è perfetta e coglie, appunto, il “buco” nel mercato discografico di cui si accennava prima.
Una conclusione… non definitiva
Ma se hanno avuto successo, qualcosa di buono la avranno? Certo che sì. Sono degli ottimi musicisti, capaci di realizzare melodie e riff molto catchy, cantabili, ballabili. Sono dei grandissimi performer, tutti e quattro. Hanno l’innata capacità di salire sul palco ed infiammarlo. Posseggono (e non è da poco) la caratteristica di farsi volere bene e di creare forti divisioni tra i fruitori, che è una virtù di quelli grandi e anche il motivo alla base del perché si sta scrivendo questo articolo.
Più che un fenomeno strettamente musicale, i Måneskin sono un interessante approccio sociologico allo studio della musica. Quest’ultima intesa proprio come modalità di fruizione, adatta e su misura per tutti.
Perché, diciamoci la verità, i Måneskin possono anche non piacere, ma, a prescindere dalla musica, hanno creato unione alla vittoria dell’Eurovision. Ci siamo sentiti tutti coinvolti e parte del loro progetto quando abbiamo letto la notizia che avrebbero aperto il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas, come se fossimo loro conoscenti, amici.
Ecco spiegato il successo dei Måneskin: un successo ragionato, pensato, voluto e raggiunto. Meritato? Tra cinquant’anni la risposta.