Epilogue. I Daft Punk e un altro addio che non volevamo sentire

Prologue
Due robot venuti dal futuro, come se fossero usciti dalla penna di Philip K. Dick, i Daft Punk sono atterrati sulla Terra negli anni ‘90, e ci hanno mostrato come il sintetizzatore e la drum-machine avrebbero potuto far ballare chiunque, anche vostra nonna.
Molto spesso bistrattata, la musica house ha fatto fatica a svestirsi di quell’alone di sottogenere che l’ha ricoperta per anni; se oggi la conosciamo tutti, lo dobbiamo anche a questo duo parigino che è stato in grado di conquistare tante generazioni. Nel 1995, il primo singolo dall’album Homework. Da Funk è ancora oggi ritenuto una pietra miliare della musica house; questo lo aveva intuito anche Spike Jonze che realizzò il videoclip, iconico quanto la canzone.
Ma da Homework salta fuori anche Around the world, così i geni indiscussi della french house iniziano il giro del mondo e arrivano alle orecchie di tutti, un misto di funk ed electro-dance che folgora chi lo sente. Il testo? Non serve. Tre parole in loop, per tutta la durata della traccia. Se state leggendo quest’articolo, probabilmente, sapete bene di cosa parlo.
Revolution
Innovativi nei suoni e unici nella realizzazione di ogni loro comparsa. La scelta di non rivelare mai il loro volto li eleva a simbolo di disc-jockey perfetto, non umano, un po’ cyborg forse, quindi adatto a sposarsi con il synth e la console, questione di circuiti. Una produzione che consta di quattro dischi ufficiali, nutriti sì, ma pur sempre pochi considerato il periodo di attività. La risposta sta nella qualità e nella individualità che ognuna delle loro tracce mantiene.
Una nuova idea di dj, che recupera uno style alla RoboCop anni ’80 e da quel decennio sembra anche riprendere i primi esperimenti. Chi si ricorda di Alberto Camerini e di Tanz Bambolina? E poi non venite a dirmi che in Italia non si sperimentava.
In “RAM (Random Access Memories)” – il codice linguistico è sempre quello binario dei computer – l’album più maturo e complesso, c’è davvero un recupero importante delle sonorità dei decenni precedenti e una costante tensione verso forme nuove. Le collaborazioni sono sempre selezionate e di altissimo livello, tra i nomi più importanti, anche quello del nostro Giorgio Moroder. Provate a sentire Beyond, il titolo non mente.
Epilogue
Alla notizia di questo scioglimento ci siamo rimasti male in molti, forse più del dovuto. Dite la verità, quante tracce conoscete dei Daft Punk? Il fatto è che anche se non sei un fan sfegatato di musica techno, e non ascolti tutti i giorni Sven Vath, le loro hit continueranno a ricordarti di quelle sere in cui hai ballato fino allo sfinimento, quelle serate nei locali o in qualche sottoscala, in cui davvero ti sei divertito. La loro non è solo musica elettronica, ma musica elettrica, di quella che ricarica le pile e ti fa muovere come uno stupido robottino, e se non lo fa, non sei mai stato in una discoteca nei primi anni del 2000.
E adesso anche loro ci hanno lasciato, e l’hanno fatto in un modo che li contraddistingue da sempre, con una spettacolare esplosione, niente console, sintetizzatori o luci stroboscopiche. In Epilogue, quasi 8 minuti di video, c’è un addio straziante. Tutto prestato alla ritualità dei gesti, l’immane forza della comunicazione non verbale. Guy-Manuel e Thomas camminano insieme, uno di fianco all’altro, ma questa volta non è un singolo né l’annuncio di un nuovo disco la meta. Uno sguardo robotico celato dai caschi, intenso e metallico, infine la decisione è presa, intuita e accolta. L’autodistruzione – un po’ all’Asimov – è il solo modo. In molti ancora non vogliono crederci, noi, speriamo ritornino harder, better, faster, stronger.