Decapitato David Haines. E la guerra dell’IS prosegue
Si chiamava David Haines il terzo prigioniero decapitato. Aveva quarantaquattro anni e una famiglia a casa che lo aspettava. Operatore umanitario in missione con l’ACTED (Agence d’Aide à la Coopération Technique Et au Développement), l’anno scorso era stato rapito in Siria insieme all’italiano Motka, quest’ultimo in seguito fortunatamente liberato. La notizia con tanto di immagini è stata data dall’account Twitter @Isis Urdu. Era stato visto vivo per l’ultima volta nel filmato riguardante la brutale uccisione dell’americano Steven Sotloff (il primo giornalista decapitato era stato l’americano James Foley). Nel video indossa l’ormai ben nota tuta arancione che richiama quella dei prigionieri del supercarcere militare americano di Guantanamo. Come il prossimo ostaggio minacciato di morte, Alan Henning anch’egli britannico. Questo è il messaggio che accompagna il video indirizzato agli alleati dell’America: «Questo britannico paga il prezzo della tua promessa, Cameron, di armare i peshmerga contro lo Stato Islamico», con l’immagine del boia nero (dall’inquietante accento inglese a ricordarci che la globalizzazione riguarda anche l’estremismo islamico) armato di pugnale a sovrastare il condannato inginocchiato nel deserto. Condannato che prima di morire disapprova le azioni del proprio governo, questa la trascrizione: «Sei entrato volontariamente in una coalizione con gli USA contro lo Stato Islamico, come ha fatto il tuo predecessore Tony Blair, seguendo la tendenza dei nostri premier britannici che non hanno il coraggio di dire no agli americani». Poi l’atroce sequenza dell’esecuzione. Secondo il portavoce del Foreign Office il video è autentico, due minuti e ventisette secondi di orrore. Come i moltissimi altri video dove si assiste inermi alla decapitazione di soldati curdi e libanesi e ad omicidi di massa di solati siriani. L’ISIS replica uno scenario ben studiato e calcolato, con disumana freddezza, per colpire l’Occidente, metterlo in ginocchio e farne anch’esso un ostaggio da decapitare. Il messaggio è chiaro, come i mezzi disumani per raggiungere il proprio scopo. Come è chiaro il messaggio diffuso tramite YouTube e subito ripreso da alcuni media egiziani, dove lo Stato Islamico minaccia l’Europa e gli USA, invitando gli estremisti jihadisti a prepararsi e ad indossare le cinture esplosive.
La replica di Cameron è stata immediata e chiara: «Faremo tutto ciò che è in nostro potere per dare la caccia agli assassini», definendolo un omicidio ignobile, dicendosi anche disgustato dal fatto che a compiere questo atto spregevole e spietato sembri sia stato un militante dell’IS britannico (l’Intelligence britannica ha fatto il nome del ventitreenne rapper londinese Abdel-Majed Abdel Bary, noto come «Jihadi John»). Dagli Stati Uniti Barack Obama non ha fatto attendere la sua risposta: «Gli Stati Uniti sono a fianco dei nostri stretti amici e alleati nel lutto e nella determinazione» cooperando «con il Regno Unito e una ampia coalizione di Nazioni per portare i responsabili di questo atto barbaro davanti alla giustizia e per indebolire e distruggere questa minaccia ai popoli dei nostri Paesi, della regione e del mondo». A questo proposito il premier australiano Tony Abbott ha dichiarato che «vuole partecipare agli sforzi internazionali per impedire alla crisi umanitaria di aggravarsi» inviando quattrocento aviatori, duecento militari, equipaggiamenti tra cui otto aerei da combattimento F/A18 e consiglieri militari a sostegno delle forze armate irachene, e il Belgio si è reso disponibile a partecipare alla coalizione internazionale contro lo Stato Islamico.
Le autorità britanniche avevano mantenuto top secret il sequestro di Haines per motivi di sicurezza, fallendo anche un tentativo di salvataggio guidato dalle forze militari statunitensi. Messaggio di cordoglio anche del Presidente Napolitano che ha espresso il suo dolore, a nome di tutti gli italiani, con queste parole: «Ho accolto con autentico orrore la notizia del nuovo barbaro delitto compiuto con l’uccisione del cooperante David Haines da parte di fanatici terroristi in Iraq».
Davide Haines aiutava le vittime dei conflitti cooperando con ACTED in diverse parti del mondo, dai Balcani, al Medio Oriente, all’Africa, e prima di andare in Siria nel 2012 era stato nel Sudan del Sud per svolgere il difficile ruolo di facilitatore di pace civile non di parte e disarmato. Era stato un militare per dodici anni, lavorando dal 1999 al 2004 alla ricostruzione delle comunità distrutte dalla guerra civile nella ex Jugoslavia. Decapitando lui è come se avessero decapitato anche la sua famiglia che fino all’ultimo ha lottato con disperati appelli ai terroristi che lasciano come ultima immagine alla moglie e alle due figlie, Bethany e Athea, di diciassette e quattro anni, non quella divulgata dai terroristi ma quella di un uomo che sostiene la morte come ha sostenuto la vita. Le parole del fratello Mike a ricordarci che David Haines era «una persona comune come tanti» disponibile ad aiutare «chiunque avesse bisogno senza badare alla razza, al credo, alla religione». «David lavorò con l’ONU nei Balcani aiutando la gente che aveva veramente bisogno. Ci sono tante testimonianze di persone di quella regione aiutate da David», periodo nel quale decise di lasciare l’aeronautica britannica per dedicarsi appunto al lavoro umanitario. «La sua gioia e le sue aspettative per il lavoro che andava a fare in Siria sono per me e la famiglia l’elemento più importante di questa triste storia. È stato ed è amato da tutta la sua famiglia e ci mancherà terribilmente».
Paola Mattavelli
15 settembre 2014