L’ombra lunga di Chávez
In Venezuela si sono concluse le elezioni presidenziali che hanno visto vincitore l’uscente Nicolás Maduro, già discusso capo di Stato dal 2013. Il successore del Comandante Chávez ha tenuto le redini del paese per più di dieci anni e dopo queste elezioni, attualmente contestate, governerà per i prossimi sei anni.
Elezioni truccate
Le accuse sono mosse principalmente dall’opposizione capeggiata da Maria Corina Machado che, a seguito del conteggio delle schede che hanno visto Maduro vincere con il 51,2% contro il 44,2% del suo principale avversario alle urne l’ex ambasciatore Edmundo González Urrutia, ha subito accusato di frode elettorale il presidente uscente.
«Abbiamo grandiose informazioni da condividere. Voglio dire a tutti i venezuelani e democratici del mondo che abbiamo già il modo per provare la verità», questa la dichiarazione della Machado che afferma di poter dimostrare come le elezioni siano state falsate e che González, in verità, avrebbe addirittura raggiunto il 73%.
Le manifestazioni
Nel frattempo, non è mancata la dura reazione di Maduro che, come già aveva promesso, ha iniziato una violenta repressione dei manifestanti accusati di essere aizzata dai “fascisti”. «È in atto un colpo di Stato, un piano dell’estrema destra per una rivoluzione». Una controrivoluzione violenta, come sempre voluta dagli USA che operano anche per mezzo dei servizi segreti per destabilizzare l’ennesimo paese socialista figlio dell’ondata rossa che ha colpito l’America Latina nel secolo scorso. Una narrazione che, sinceramente, conosciamo a menadito e che diviene sempre più specchietto per le allodole.
L’era chavista
L’inizio della presidenza di Nicolás Maduro coincide con la morte dello storico presidente del Venezuela Hugo Chávezche, noto come il Comandante, era stato eletto per la prima volta nel 1998, dando inizio, dopo Castro a Cuba e prima di Morales in Bolivia, a quella che è passata alla storia come la Rivoluzione bolivariana, figlia del Movimento Quinta Repubblica poi trasformatosi nel Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Il cardine precipuo doveva essere l’instaurazione della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Durante i suoi ripetuti mandati, Chavez è stato in grado di risollevare l’economia del paese sfruttando principalmente il più grande tesoro della nazione: il petrolio. Una politica basata sul socialismo democratico, attenta ai diritti umani e alle fasce di popolazione più deboli. Acerrimo nemico dell’imperialismo americano e pronto a intrattenere rapporti con quelli che l’Occidente ha sempre definito “stati canaglia”, ha adottato una politica monetaria di tipo espansivo, coniando anche il “bolìvar fuerte” per dare al Venezuela una moneta che fosse, almeno sulla carta, al pari del dollaro ma che, nonostante ciò, non si è mai dimostrata, a discapito del nome, forte per le esportazioni. Le importazioni, invece, sono continuate a crescere data la scarsità di materie prime, in particolar modo quelle di macchine agricole dalla vicina Argentina. Per l’intera era Chavez tutto sembra essersi mantenuto in perfetto equilibrio nonostante le previsioni infauste e le opposizioni feroci che portarono ai fatti di Miraflores del 2002. Infine il ritorno, dopo poco tempo, il cancro e la morte nel 2013, alle porte della crisi peggiore che il Venezuela abbia mai attraversato.
La crisi
Qui inizia la stagione madureña e, nonostante il delfino di Chávez si fosse addestrato anni per ricoprire il ruolo, nulla è bastato. Il tentativo è stato quello di mantenere una condotta politica perfettamente in linea con quella del suo predecessore ma sin dagli esordi, troppi sono stati i gesti di violenza atti a delegittimare l’opposizione e a non accettare il fatto che il paese necessitava di una diversa gestione delle proprie risorse economiche. In primis, l’inflazione ha avuto la meglio con una depressione economica ancora in corso e le accuse di forzare fin troppo la Costituzione si sono ripetute, l’ironia sui diritti LGBTQ+ è stata ritenuta inaccettabile, data la precedente apertura di Chávez. Tre mandati burrascosi su cui è davvero difficile esprimere un giudizio unico, non ultimo il caso della doppia presidenza di Juan Guaidó che nel 2019 si autoproclamò capo di Stato ad interim venendo riconosciuto da quasi la metà della comunità internazionale.
Mentre lo Stato langue c’è chi ancora litiga per sedere sullo scranno dei vincitori. Niente è più vero, il potere logora (il popolo) che non ce l’ha.