Rojava: continua l’offensiva turca
Dall’inizio dell’invasione della striscia di Gaza, Il Presidente turco Erdoğan ha condannato più volte apertamente, anche durante la Cop28, l’offensiva israeliana che sta causando migliaia di vittime tra la popolazione civile, appellandosi all’Occidente affinché intervenga per fermare questo massacro. Condanna i bombardamenti israeliani che privano la popolazione di acqua, pane, scuole, ospedali e si dichiara pronto a sostenere la pace in tutte le crisi regionali e a lavorare per una soluzione giusta ed equa. Tuttavia ciò che sta accadendo in Rojava suggerirebbe tutto il contrario di ciò che il Presedente turco continua ad affermare.
Non cessano le aggressioni turche nel Nord Est della Siria
Continuano senza sosta i bombardamenti turchi nei territori a maggioranza curda del Nord Est della Siria, anche detto Rojava, amministrati dall’ Amministrazione Autonoma del Nord e Dell’Est della Siria e difesi dalle FDS, Forze Democratiche Siriane, una coalizione di milizie che comprendono anche le curde YPG, Unità di protezione Popolare, e YPJ, Unità di Protezione delle Donne. Queste ultime sono considerate dalla Turchia come un’estensione del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan dal 1984 in lotta contro lo Stato turco, che anche Unione Europea e Stati Uniti hanno inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Il 5 ottobre 2023 Ankara ha ripreso le aggressioni dirette ai territori del Rojava lungo il confine turco-siriano, e alla zona circostante le montagne di Qandil in Iraq, considerate tra le basi principali del PKK. Come riportano fonti locali, tra cui l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ed internazionali, come i report dell’attivista americana Nadine Maenza, i principali target dell’aviazione turca sono le infrastrutture civili, le centrali idriche ed elettriche, le scuole, gli ospedali, che hanno lasciato oltre due milioni di persone senza acqua ed elettricità. In un tweet del 9 ottobre, Recep Tayyip Erdoğan scrive: “noi manterremo sempre la nostra promessa: distruggere il PKK e qualunque sua estensione. Continueremo a portare avanti altre operazioni, ancora più violente ed efficaci contro basi e luoghi sotto il suo controllo”. Anche questa volta, come è già accaduto in passato, è stato usato come pretesto per giustificare nuove operazioni militari in Siria l’allarme degli attentati terroristici che minacciano la sicurezza nazionale, dopo che il 1 ottobre nei pressi degli edifici del ministero degli interni di Ankara due uomini, accusati di avere legami con il PKK e di essere attentatori suicida addestrati in Siria, hanno piazzato una bomba. A seguire, 46 persone arrestate, tra cui membri del partito a base curda HDP.
Le aree più pesantemente colpite dai raid aerei e dall’artiglieria turca, che dal 2016 infiammano la regione, sono quelle al confine: ad est Hasake, Qamishlo, Amûda, mentre più ad Ovest, Tel Tamr, Sarrin, Manbij, Afrin, Kobanê. Quest’ultima è la città simbolo della resistenza delle YPJ/YPG, supportate dall’aviazione statunitense, contro lo Stato Islamico, che i curdi hanno combattuto fin dall’inizio dello scoppio della guerra civile siriana nel 2011. Tanto da venire considerati i migliori alleati degli Stati Uniti nella guerra al Califfato. Anche per questo la sopravvivenza dell’amministrazione autonoma del Rojava è fondamentale, o almeno era, vista la dichiarazione dell’ex presidente Trump nel 2018 del ritiro di 2000 truppe statunitensi dal territorio, il che vuol dire anche implicita via libera alle aggressioni turche. Erroneamente L’ex presidente americano aveva affermato che non c’era più motivo per le truppe di rimanere, poiché l’ISIS era stato finalmente sconfitto ed eradicato dal territorio. Erroneamente perché il 20 gennaio 2022 infatti, il gruppo terroristico ha sferrato un attacco alla prigione di Ghwayaran nel nordest della Siria con l’obiettivo di liberare alcuni membri dell’organizzazione. Un chiaro segnale tanto della resilienza quanto della capacità di recupero del gruppo jihadista. A partire dalle prigioni e dai campi profughi, come quello di Al-Hol che le Forze Democratiche Siriane si trovano da sole ad amministrare, dove si trovano la maggior parte delle famiglie dei martiri, il territorio è pieno di cellule dormienti della jihad.
E proprio nello Stato Islamico la Turchia ha trovato un valido alleato nella lotta ai curdi del Rojava, dove il tentativo di autogoverno includente tutte le altre comunità etniche della regione, reso possibile in seguito guerra all’ ISIS e alla liberazione dei territori nel 2015-2016, rappresenta una minaccia all’integrità territoriale della Repubblica Turca. In questi anni infatti il governo di Erdogan ha compiuto quattro grandi operazioni militari sulla regione autonoma, con l’obiettivo di creare una “zona di sicurezza” lunga 650 km e profonda 30 km lungo il confine turco-siriano, abitato per la maggioranza da curdi, favorendo l’implementazione del progetto di ingegneria demografica chiamato “cintura araba”, che prevede il trasferimento in questa zona dei rifugiati siriani ed è volto a creare una zona cuscinetto tra curdi in Siria e curdi in Turchia. Tenendo in questo modo lontana la minaccia che il PKK e le Forze democratiche siriane, e più in generale l’esperienza confederalista democratica del Rojava, rappresentano agli occhi delle autorità turche. Soprattutto in riguardo alla promozione del modello di nazionalismo etnico su cui si fonda la Repubblica turca; modello assimilazionista che ha colpito in primis i curdi, la cui identità si è tentato di cancellare, ma anche tutte le altre etnie di cui la regione è ricchissima, come armeni, assiri, circassi, turcomanni. A prova di ciò, Ankara ha lanciato nel 2018 le due significative operazioni “Ramoscello d’Ulivo”, con la quale ha invaso ed occupato il distretto curdo di Afrin ad ovest, da cui più della metà della popolazione è fuggita e quella rimasta è soggetta a forti discriminazioni e privazioni di basilari diritti, e “Fonte di pace”, che ha invece portato all’occupazione delle aree di Serekaniye e Gire Spi. Afferma il capo del media center delle Forze Democratiche Siriane, Farhad Shami, che i territori occupati da Ankara sono diventati un paradiso per i mercenari jihadisti, suoi alleati in questa guerra ai curdi.
Nel silenzio dell’Occidente e con il tacito consenso degli Stati Uniti, che durante la guerra all’ISIS avevano impedito alla Turchia di intervenire contro le forze curde del Rojava, sono continuati negli anni gli interventi militari, aerei e di terra, dell’esercito turco.
Gravemente a rischio l’esperimento di autogoverno dell’Amministrazione Autonoma del Nord e Est della Siria, che senza più il supporto militare statunitense vacilla di fronte alle aggressioni turche.