Il punto su Governo e pensioni
Tema decisamente spinoso che obbligherà inevitabilmente il governo a tener conto di due considerazioni: la prima è che entro il 2028, rende noto la Cgia di Mestre, in Italia saranno erogate più pensioni che stipendi, un trend che mette a serio rischio la sostenibilità del sistema; la seconda è che per una legge di bilancio quantificata dalla Ragioneria dello Stato in 25 miliardi, solo per confermare le principali misure della precedente manovra di miliardi ne servono 17.
Da un lato il leader della Lega, Matteo Salvini, intenzionato a rimpiazzare Quota 103 in scadenza con Quota 41 «light» (si andrebbe in pensione sempre dopo 41 anni, ma il calcolo dell’assegno avverrebbe ora solo su base contributiva, con conseguente riduzione dell’importo fino al 30%. Costo: 9-12 miliardi l’anno).
Dall’altro il segretario di FI, Antonio Tajani, reduce da una campagna a favore dello ius scholae, che certamente non ha fatto fare i salti di gioia ai partner di maggioranza. Spinge sull’aumento delle pensioni minime: impegno messo nero su bianco nel programma elettorale con l’obiettivo di raggiungere i mille euro entro fine legislatura.
Considerando che, nel complesso, l’operazione costa 20 miliardi, realizzarla in un sol colpo è fuori discussione. Il piano, dunque, è procedere per gradi: già nel 2024 il trattamento minimo è salito da 563,74 a 614,77 euro grazie alla rivalutazione straordinaria prevista dalla prima manovra del governo Meloni, cui si è aggiunto un ulteriore incremento del 2,7%.
In attesa del vertice di maggioranza di venerdì 30, cui seguirà il primo Cdm dopo la pausa, i tecnici starebbero infatti esaminando la possibilità di introdurre un allungamento della “finestra mobile” cioè il tempo d’attesa tra la maturazione del diritto alla pensione e il momento in cui si può effettivamente riscuotere l’assegno
Oggi ci si accede con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) e la finestra mobile è di tre mesi: l’ipotesi, per l’anno prossimo, è di allungarla a 6-7 mesi. Con il risultato che l’uscita dal lavoro scatterebbe dopo 43 anni e 4 mesi (42 anni e 4 mesi per le donne) o 43 anni e 5 mesi in caso di allungamento a 7 mesi.
Potrebbe arrivare una nuova stretta per chi vuole andare in pensione in anticipo. La possibilità di uscire dal lavoro con 42 anni e 10 mesi di contributi, infatti, potrebbe richiedere tempi più lunghi del previsto.
La quadra da trovare passa attraverso il difficile equilibrio tra gli appetiti elettorali dei partiti e l’incognita risorse, resa ancora più complessa dalle nuove regole del Patto di stabilità.
Su alcune misure la maggioranza si mostra compatta, difatti assicura per il 2025 il mantenimento del taglio del cuneo e l’abbassamento della pressione fiscale attraverso la riforma dell’Irpef, con la sfida di estenderla anche al ceto medio fornendo benefici fiscali anche a redditi di 50-55mila euro.
A creare qualche attrito, invece, potrebbe essere appunto il tema pensioni, con la Lega che guarda alle uscite anticipate e Forza Italia che punta ad aumentare le minime. Sul tavolo anche l’idea di prevedere nel 2025 a nuovi- incentivi per chi resta al lavoro.
In questo modo si ripristinerebbe l’equilibrio con il canale di Quota 103 (62 anni d’età e 41 contributi), diventato non solo più difficilmente raggiungibile con l’allungamento delle finestre (portate da 3 a 7 mesi per il privato e da 6 a 9 per il pubblico) ma anche meno conveniente con l’imposizione del ricalcolo contributivo che per molti significa una netta riduzione dell’assegno.
La conferma di queste difficoltà è evidente guardando alle adesioni più scarse del previsto registrate finora: le domande arrivate all’Inps sono circa 7mila e a fine anno potrebbero essere circa la metà di quelle stimate nella legge di Bilancio per l’anno (17mila).
Per confermare la nuova Quota 103 anche il prossimo anno, quindi, potrebbe bastare il 70% di quanto stanziato l’anno scorso (quindi poco meno di 590 milioni, rispetto a 835 milioni postati per il 2025).
Sembra invece remota, ma non esclusa del tutto, l’ipotesi di introdurre anche per le pensioni anticipate con 42 anni e 10 mesi il metodo di ricalcolo contributivo: consentirebbe un forte risparmio ma appare difficilmente ammissibile dall’attuale maggioranza oltre che dai sindacati.