Esposizione universale Riyadh 2030: un’assegnazione che conferma la strategia del Regno Saudita
Sappiamo bene tutti che la capitale Saudita Riyadh è stata designata come la città che ospiterà l’Esposizione Universale (EXPO) del 2030.
Una vittoria per l’Arabia Saudita e il principe ereditario Mohamed ben Salman, valente sostenitore della politica di modernizzazione e sviluppo del regno.
La sera stessa della vittoria, il quotidiano Saudi Gazette trasmetteva su X (ex Twitter) le immagini della delegazione Saudita in preda all’entusiasmo dopo l’annuncio dei risultati delle votazioni del BIE (Bureau International des Expositions), l’organizzazione intergovernativa che gestisce le Esposizioni Universali e internazionali. La capitale saudita ha vinto con ampissimo margine e al primo scrutinio, superando così Roma e la città portuale sudcoreana Busan.
Riyadh diventerà così la seconda città del Golfo ad organizzare l’evento, dopo Dubai nel 2021 (per l’Expo del 2020, posticipata a causa della pandemia di Covid-19).
Tutti i candidati in lizza hanno presentato con orgoglio e convinzione progetti “green”, di grande tenore tecnologico, con l’obbiettivo di accaparrarsi l’Esposizione Universale – un evento che attira milioni di visitatori (25 milioni a Dubai) -lanciandosi negli ultimi mesi in intense campagne di lobby.
Malgrado le critiche indirizzate soprattutto in tema diritti umani, Riyadh ha vinto, vantando “paesaggi naturali di livello mondiale” e “la prima esposizione carbon negative, pronta a rimuovere permanentemente qualsiasi traccia di CO2 dall’ecosistema”, in un Paese non solo molto arido, ma che si pone tra i primi produttori di petrolio del mondo e tra i primi trasmettitori di gas serra per abitante.
Il 2030 sarà un anno impegnativo e cruciale per il Regno Saudita, visto che l’organizzazione dell’Esposizione Universale del 2030 in Arabia Saudita coinciderà tra le tante altre cose con “Vision 2030”, dal nome dell’ampio programma di riforme e sviluppo deciso dal principe ereditario Saudita Mohamed ben Salman (detto “MBS”) miranti a ridurre la dipendenza del Regno dal petrolio.
Ma viene da chiedersi quali effetti questa vittoria possa avere sul piano politico e diplomatico per l’Arabia Saudita, e in particolare sul principe ereditario saudita. E possiamo definirla una “vera sorpresa”?
Secondo gli analisti no. Ma la regia che c’è dietro è molto raffinata. Gli obbiettivi di altissimo livello.
All’inizio di ottobre 2022, l’Arabia Saudita si era già conquistata – per il 2029 – l’organizzazione dei Giochi asiatici invernali a Trojena, massiccio montagnoso contiguo al sito di NEOM, la città futurista in costruzione dal 2017 sulle rive del Mar Rosso. Trojena che si trova a 50 km dalla costa del golfo di Aqaba, con altitudini che vanno tra i 1.500 e 2.600 metri su una superficie di 60kmq dovrebbe essere finita nel 2026, comprenderà piste da sci aperte tutto l’anno, un lago artificiale di acqua dolce, degli chalet e hotel di lusso.
Inoltre, dopo il conferimento dei Mondiali 2026 agli Stati Uniti, Canada e Messico, e quelli di 2030 alla Spagna, Portogallo e Marocco, solo i Paesi membri delle federazioni asiatiche e dell’Oceania erano state invitate a richiedere la partecipazione per i Mondiali successivi, secondo la politica della rotazione continentale della Fifa. Il ritiro dell’unica candidata in lizza, l’Australia, ha aperto la strada all’Arabia Saudita, che si è buttata sull’occasione senza perdere tempo, presentando la sua candidatura appena 27 giorni prima del tempo limite.
Il Presidente Gianni Infantino ha annunciato che l’Arabia Saudita avrebbe organizzato i Mondiali del 2034, anche se il dossier della candidatura ufficiale verrà sottoposto a votazione il prossimo anno.
Secondo Yasser Al-Misehal, il capo assoluto del calcio saudita, l’Arabia Saudita si presenterà da “solista”, per diventare il primo Paese ad accogliere da solo una Coppa del Mondo a 48 squadre.
Seguendo i suoi vicini del Golfo, Qatar ed Emirati arabi in testa, l’Arabia Saudita, Paese ultraconservatore, un tempo poco aperto agli eventi internazionali, ha già accolto diverse competizioni mondiali negli ultimi anni, tra i quali il rally Dakar e la Formula uno.
Il principe ereditario Mohamed ben Salman teneva assolutamente a concretizzare anche la sua candidatura per l’EXPO 2030, un po’ l’apoteosi per lui perché riecheggia direttamente il suo progetto emblematico di “Vision 2030”.
Ma cerchiamo di andare oltre alla “diplomazia sportiva” e cercare di capire quali elementi hanno potuto fare la differenza in questa vittoria.
Sicuramente c’è l’aspetto finanziario, viste le possibilità economiche del Paese, che le permettono di sostenere dossier molto ambiziosi, così come una campagna di lobby da parte di Riyadh con sostenitori importanti (tra i quali la Francia).
Ma non è da sottovalutare neanche l’affermazione sempre più evidente dei Paesi che vengono posti spesso in modo un po’ grossolano di Paesi del Sud globale. Ricordiamo che l’Arabia Saudita è stata recentemente accettata tra i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina), con un’integrazione effettiva a partire da questo gennaio.L’idea è di promuovere nuove potenze del XXImo secolo.
Il ritorno di Mohamed ben Salman sulla scena mediatica mondiale è avvenuto grazie alla congiuntura geopolitica.
Lo abbiamo potuto vedere per esempio con la visita del Presidente americano Joe Biden a Riyadh nel luglio del 2022, dopo che aveva definito il principe ereditario come paria. C’è poi stata la sua visita a Parigi il 16 giugno del 2023, sulla scia delle conseguenze geoeconomiche e geopolitiche indotte dalla guerra in Ucraina. Guerra nella quale aveva prontamente mostrato le sue capacità di mediazione riuscendo a far liberare una decina di prigionieri internazionali già nel settembre del 2022.
Non di minore importanza la riunione di Riyad, il 5 agosto del 2023, che puntava ad esaminare un possibile piano di Pace ucraino in dieci punti, dopo aver ricevuto in modo spettacolare il Presidente Volodymyr Zalensky durante il vertice della Lega Araba che si era tenuto a Gedda il 19 maggio 2023.
Questa “pulizia” dell’immagine è stata possibile grazie al riconoscimento del Regno come attore fondamentale e centrale nel quadro della crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina. Un attore del quale non si può fare a meno visto che il pilastro principale in seno all’OPEP+ (i 13 Paesi dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, ai quali si aggiungono 10 altri Paesi produttori, tra i quali la Russia con la quale l’Arabia Saudita forma una specie di consorzio).
Mohamed ben Salman è incontestabilmente tornato al centro dell’arena internazionale e approfitta di questa riabilitazione per relativizzare quello che gli era stato aspramente contestato nel passato, soprattutto la sua responsabilità nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel 2018.
Il fatto di voler organizzare l’Esposizione Universale nel 2030, o altri eventi di rilevanza internazionale, aiutano sicuramente nel restauro del blasone di MBS, ma non è il motivo primario. Spesso si tende a pensare che si tratti semplicemente di uno strumento destinato a far dimenticare un certo numero di orrori in tema Diritti Umani. Ma la sfida fondamentale va oltre.
C’è innegabilmente l’ambizione strategica di fare del Regno uno Stato chiave del XXImo secolo, il cui invio nello spazio, il 21 maggio del 2023, di due astronauti sauditi verso la stazione spaziale internazionale – tra cui una donna – Rayyanah Barnawi – costituisce l’espressione emblematica. E la vittoria della candidatura Saudita per l’organizzazione dell’Expo 2030 si iscrive in questa strategia globale.
Viene da chiedersi se volendo organizzare tutti questi eventi di non poco peso, l’Arabia Saudita non stia facendo il passo più lungo della gamba.
Questo appunto gli è già stato fatto, soprattutto per il faraonico progetto NEOM, progetto faro nel quadro di “Vision 2030”. È vero, Mohamed ben Salman ha molte ambizioni per il suo Regno e pensa che per concretizzare i sogni bisogna essere proattivi.
Ricordiamo anche che l’Arabia Saudita è il primo Paese esportatore di petrolio del Mondo, cosa che gli permette di raccogliere centinaia di milioni di dollari al giorno, che alimentano il suo Public Investment Fund (PIF) il fondo sovrano dell’Arabia Saudita, braccio armato finanziario di questa strategia di sviluppo e diversificazione del Regno. La riuscita del suo piano è per lui una vera ossessione, ma nulla toglie alla coerenza dell’ambizione dichiarata del Principe ereditario che saprà farsi ancora notare.