Piano Mattei: “aiutarli a casa loro” non funziona
Diamo un’occhiata più approfondita a quel che emerge ad oggi del Piano Mattei. La proposta stuzzica (e non poco) l’entusiasmo nel centrodestra. Eppure, quando si tratta di aiutarli a casa loro, bisogna fare i conti con le criticità intrinseche al romantico progetto di Giorgia Meloni.
In questo senso, le condizioni di partenza, tra minacce “interne” ed “esterne”, non sono entusiasmanti. Nemmeno le future prospettive del piano in materia di immigrazione sembrano così scontate ed effettive. Forse, per quanto la premier di Fratelli d’Italia punti su questo progetto, ad oggi l’ambizione della destra sta maneggiando un bicchiere di cristallo.
Cosa sappiamo attualmente sul Piano Mattei
A seguito della presentazione del 3 novembre, finalmente, sappiamo qualcosa di più sulle ambizioni del Piano Mattei. All’articolo 2 si parla di un nuovo partenariato tra Italia e Stati del continente africano. Esso sarà volto a promuovere uno sviluppo comune, sostenibile e duraturo nella dimensione politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza trans-nazionale. Si parla poi più in generale di cooperazione allo sviluppo, promozione delle esportazioni, degli investimenti, dell’istruzione, formazione professionale, ricerca. Importante segnalare anche la volontà di sostegno all’imprenditoria giovanile e femminile. Si cita anche un impegno verso la promozione dell’occupazione e (non poteva certo mancare) la prevenzione e il contrasto dell’immigrazione irregolare.
Il piano Mattei, però, non è un piano ambizioso, di più. Parliamo di un partenariato Italia-Africa che, almeno sulla carta, si pone l’obiettivo di rovesciare secoli di rapporti di forza sbilanciati a favore dell’Occidente. La premier Giorgia Meloni, si è posta l’obiettivo di contribuire (almeno apparentemente), allo sviluppo degli stati africani allo scopo di favorire lo sviluppo locale. Inoltre, implementare l’influenza italiana nel continente e aumentare la quantità di fonti energetiche in arrivo dal Mediterraneo, come gas e petrolio. Ma, ancor di più, sperare di porre un argine all’ondata migratoria tanto temuta e prospettata dagli statistici nei decenni a venire.
Le problematiche strutturali relative agli investimenti in Africa
Nonostante gli obiettivi propugnati dal testo, è necessario fare alcune considerazioni. In prima istanza, migrazioni e sviluppo economico, come risaputo, sono fenomeni che, seppur collegati, restano distinti. Infatti, intervenire pesantemente nell’economia del continente africano difficilmente può rallentare nell’immediato i flussi migratori. Anzi, potrebbe addirittura esporre le fasce più deboli a una competizione economica così massacrante da incentivarle ancora di più ad abbandonare il proprio Paese. Sicuramente, non esistono soluzioni immediate in grado di risolvere il problema, ma solo strategie lente e pazienti. Nella maggior parte dei casi, quello di cui hanno maggiormente bisogno gli Stati africani, è una profonda ristrutturazione dei loro devastanti debiti pubblici.
In realtà, non mancherebbero neanche opportunità d’investimento in tal senso. L’Africa è ricca di materie prime che, stando a un recente rapporto UNCTAD, sarebbero funzionali alla produzione di tecnologie necessarie al perseguimento della transizione ecologica. Attualmente, però, questo cumulo di risorse naturali genera profitti che non appartengono ai governi africani. Quindi, ciò che andrebbe rifondata, dovrebbe essere, prima di ogni cosa, una capacità estrattiva ed industriale puramente africana. Fare ciò, implica creare infrastrutture sostenibili, in grado di sostenere le persone e l’ambiente. Ma non è ben chiaro come ciò possa essere fatto. Infatti, non è proprio un affare semplice investire in queste materie prime dal momento che si trovano perlopiù nelle miniere e nelle raffinerie. Quest’ultime sono pericolose, inquinano, attirano corruzione e sono in mano a governi che non hanno certo dimenticato secoli di colonialismo e sfruttamento.
Pochi soldi per un continente enorme
Ma più di ogni altra cosa, l’operatività dei fondi (pochi) risulta ad oggi molto complessa da gestire e possiamo dire che il Piano Mattei nasce effettivamente mutilato. Ma perché? Innanzitutto, anche qualora il governo dovesse effettivamente dar vita a questa partnership – la quale, stando alle promesse della premier, avverrà intorno a gennaio 2024 – l’Italia confrontata all’intero continente africano ha una popolazione 25 volte più piccola. Il confronto è impietoso, tanto da ricordare lo scontro biblico di Davide e Golia. Se persino paesi grandi come Cina e Russia faticano a imporre la loro influenza nel suddetto continente, figuriamoci l’Italia.
Non incoraggiano nemmeno le notizie degli ultimi giorni. Nella Legge di Bilancio era inizialmente comparso un fondo da 600 milioni di euro da utilizzare per la cooperazione in Africa. Con la “rivolta” interna di Matteo Salvini e Antonio Tajani, che hanno chiesto più attenzione alle esigenze del loro elettorato (come, ad esempio, interventi in materia pensionistica), Giorgia Meloni si è trovata costretta a rinunciare, almeno per il momento, ad inviare quelle risorse al Piano Mattei. Il problema dei fondi non è secondario per un piano così a lungo termine. Inoltre, come già detto, è difficile immaginare che l’Italia da sola sia in grado di portare ricchezza e sviluppo in Africa. Si dovrebbe lavorare ad un piano europeo ma, purtroppo, eccezion fatta dei normali accordi di cooperazione tra Europa e Africa, l’unico progetto che risveglia qualche speranza in merito è il Global Gateway. Ma, al momento, è fumoso almeno quanto il Piano Mattei.