Governo e management. Una sfida continua
Il nuovo saggio di Lorenzo Castellani – Il Minotauro Governo e management nella storia del potere, (LUISS University Press) – è un testo multi disciplinare, che per molti degli studiosi e civil servant citati nel libro, diventa crocevia tra amministrazione, politica ed economia, ma anche, management, scienza politica, sociologia e storia. Discipline queste, che insieme alle relazioni pubbliche e alla comunicazione indagano il potere e i suoi intorni. La complessità della realtà risiede di fatto nella complessità di analisi, gestione e consapevolezza del potere, della leadership, dei processi decisionali. La connessione fra burocrazia e management diventa sempre di più un interscambio e una ibridazione di senso e di organizzazione che pone nel rapporto di efficientamento delle organizzazioni complesse.
Una figura chiave, che Castellani ricorda in Premessa, e che è importante anche per la genesi di questo importante libro, è quella di Lord Butler. Castellani, giovane dottorando italiano al King’s College di Londra, era già affascinato da questa figura che ha traghettato il civil service dal passato al futuro: “dalla vecchia burocrazia weberiana al management pubblico, dallo Stato interventista al neoliberismo, dalla struttura ministeriale a quella per agenzie”. Butler, scrive Castellani, “è sempre stato attento nel bilanciare tradizione e modernità, nel rispettare le prerogative di imparzialità e apoliticità della burocrazia senza intralciare la realizzazione dei programmi politici di primi ministri anche di diverso colore politico”. Ecco in sintesi la particolare importanza, e necessità, di chi non essendo sottoposto al ciclo elettorale, conosce e gestisce la macchina istituzionale. L’osmosi fra mondo pubblico e mondo privato è testimoniata anche dalla successiva carriera di Lord Butler che una volta lasciata l’organizzazione pubblica è stato manager di alto livello di molte organizzazioni private. E anche altre sono le figure di spicco analizzate nel testo che testimoniano come sia importante, da un punto di vista accademico ma anche pratico, questa figura che l’Autore definisce il Minotauro: figura che come mezzo manager e mezzo burocrate sintetizza le due grandi leve del potere moderno.
E proprio per la particolarità del rapporto fra le due figure è necessario “tirare tutti i fili della conoscenza a nostra disposizione” per capire come due parti diverse e apparentemente opposte, siano in sostanza in grado di essere al centro della macchina del potere.
La burocrazia possiamo datarla intorno al Diciassettesimo secolo: una certa “razionalità strumentale agli scopi politici, ed una ricerca della scienza di governo” ponevano le basi per una strutturazione della disciplina. Il management invece possiamo datarlo alla fine dell’Ottocento, quando il capitalismo muta per la prima volta per passare dalla sola gestione imprenditoriale a quella, appunto, manageriale.
L’intersezione fra i principi scientifici e quelli politico legali iniziava a dare alla concezione dell’amministrazione pubblica una statura diversa che poneva nell’efficienza dell’organizzazione la sua capacità di risoluzione, e non più soltanto la valenza politica.
Ma è con il secondo dopoguerra che l’intersezione si fa ancora più stringente. Con stati democratici e pluriclasse, con l’inserimento di nuovi bisogni del capitalismo e della società industriale, con l’espandersi di funzioni esecutive nuove – previdenziale, sociale, economica – gli Stati devono necessariamente attingere alla scienza dell’organizzazione per accrescere l’efficacia della scienza politica e di governo.
Mentre in letteratura si inizia a parlare di corporate political responsibility – che propone un modello di responsabilità da parte delle imprese che supera quello della responsabilità sociale e di sostenibilità – il saggio di Castellani ci invita a riformulare “quella che Thomas Jefferson chiamava la aristocrazia naturale, una classe dirigente dove c’è confluenza di talento e virtù”. Per fare questo, per governare la complessità e il caos è necessario tornare al sapere umanistico, non più solo tecnocratico, quel sapere che aveva formato statisti, imprenditori e manager di successo. In questa costruzione virtuosa possiamo inquadrare le scelte che l’Europa deve fare per poter competere nella giusta postura sullo scacchiere internazionale. Una ragion di stato che sappia essere un equilibrio capace di risolvere i problemi dei singoli stati alla luce della costruzione dello scenario di competitività globale: “ciò significa che dinamismo, flessibilità, adattamento – nel rispetto di un contesto fatto di tradizioni, valori e culture – riusciranno a evitare sia la burocratizzazione sia la de-istituzionalizzazione che aprono il gioco a lotte di potere fra fazioni, a forme parassitarie di capitalismo e amministrazione della instabilità politica e sociale”. Ecco che quindi la gestione della complessità, che passa, anche, necessariamente attraverso le regole delle relazioni pubbliche, oltre che della scienza della politica e della diplomazia, metterà in cantiere un modo innovativo di gestione del potere all’interno delle democrazie: e la sfida sarà sempre di più quella di mettere al centro non la tentazione del breve termine ma la costruzione valoriale, misurata e prospettica di un futuro che guarda alle persone. I sistemi di gestione e di organizzazione, anche alla luce della sfida dell’intelligenza artificiale generativa, dovranno essere visti come una sfida continua. Sarà necessario sempre di più considerare “la forza morale per far prevalere la luce, rispetto all’oscurità, che il Minotauro, o piuttosto questo Giano Bifronte, pone come monito al disegno e alla costruzione del futuro”.