Art Brut: il linguaggio degli outsider
Venerdì 3 maggio, presso Villa Medici, si è tenuto un illustre convegno intorno alla mostra Epopee Celesti: il tema era l’Art Brut.
Organizzato grazie a Bruno Decharme e Barbara Safarova, l’evento ha riunito esperti provenienti dall’Italia, la Francia e la Svizzera.
Definire l’art brut
L’incontro è stato diviso in due parti, entrambe ricche di panel di discussione, in cui i vari specialisti, in maniera quasi chirurgica, hanno presentati vari dettagli dell’Art Brut.
Qual è l’origine e la definizione di tale corrente?
Il termine Art Brut venne coniato dal pittore e scrittore Jean Dubuffet nel 1945, per parlare di un’arte non convenzionale, allucinata, psicotica.
Una produzione creativa che esce dai canoni estetici classici e che non ha neanche il fine della comprensione o della catarsi. Potrebbe essere quasi considerata fine a se stessa, in quanto deriva da impulsi creativi puri e autentici e non da ragionamenti a priori, come spiegato da Dubuffet.
Quando quest’ultimo, nel 1975, donò l’intera collezione alla città di Losanna, la Svizzera divenne il nodo centrale dell’art brut.
Escapismo creativo
Durante il convegno, la produttrice cinematografica Barbara Safarova ha illustrato alcuni dei soggetti ricorrenti nell’Art Brut: figure antropomorfe e chimere, mostri, mappe mentali, geografie intime, labirinti, altri universi.
Da dove proviene l’esigenza di ritrarre elementi e creature del genere?
Le prime opere raccolte da Jean Dubuffet provenivano da artisti autodidatti e soprattutto incompresi, malati mentali. In una parola: outsider.
L’art brut, arte grezza e spontanea, deriva quindi da menti isolate e solitarie, desiderose di ripararsi in un altrove immaginario.
La collezione di Decharme
La mostra Epopee Celesti riunisce in un unico posto molte delle opere cardine della collezione di Bruno Decharme, commentate durante il convegno.
E basta osservarne alcune affinché l’altrove di cui sopra diventi evidente.
Fin da subito ci colpisce Anna Zemankova, con le sue rappresentazioni botaniche, quasi aliene, ed i suoi messaggi da altri mondi e proiezioni di altri livelli di conoscenza.
Spiccano poi le tele psichedeliche e intricate di Adolf Wölfli (in copertina), che inizia a crearle una volta internato nel manicomio di Waldau, in cui resterà fino alla fine dei suoi giorni.
Impossibile tralasciare poi l’opera di Zdenek Kosek, artista ceco che, convinto di poter controllare il meteo, riempie i suoi quaderni di schemi e cartine geografiche.
Riusciamo, grazie a questi artisti, a comprendere come l’Art Brut sia la continuazione diretta delle visioni che attraversano il cervello umano, di ogni umano. La grande differenza è che solo alcuni hanno il coraggio di tirarle fuori o di renderle pubbliche.
In questo, l’iniziale sforzo di Jean Dubuffet e di tutte le menti che si sono poi confrontate a Villa Medici, va riconosciuto, è stato magistrale.