“Napoli Ottocento”: la mostra a Roma ritrae la vita partenopea
Napoli Ottocento è una delle più straordinarie mostre realizzate a Roma negli ultimi dieci anni. Il museo di Capodimonte e le scuderie del Quirinale, finito lo stato d’emergenza legato alla pandemia, hanno dato vita alla loro idea nata nell’aprile 2022. L’Ottocento a Napoli, seppur legato all’Italia moderna, è ancora poco conosciuto e resta un mondo interamente da scoprire. Capitale italiana dell’Illuminismo.
Napoli ospita tra i più importanti pittori di tutto il mondo in quel periodo storico per la ricerca del sublime, la fenomenale contemplazione e lo studio del Vesuvio. Inoltre, la ricerca iconografica la passione archeologica e anche qui la contemplazione della favolosa e unica al mondo scoperta di Pompei. I suoi scavi, compresi quelli di Ercolano, folgorarono il mondo attirarono alla loro visita artisti del calibro di Turner di Goethe di Stendhal. Giunti a Napoli si trovarono a conoscere Capri, Sorrento, la Costiera Amalfitana e tutte le zone limitrofe del territorio Campano impregnate della loro magia in scenari idilliaci e virgiliani.
La mostra si apre con “Le voilà” di Giuseppe Renda. L’opera è un giovane che sorride sfacciato allo spettatore (probabilmente straniero) che, con movenze da satiro, sembra voler dire a chi lo guarda che ovunque poserà il suo sguardo a Napoli vi troverà sepolti gioie e miserie trucchi e lune; un impasto di lava e mare, lumi e sortilegi. È una sorta di preparazione allo straniero europeo che pensa solo di arrivare nella terra della scienza, delle università degli osservatori, degli scavi archeologici e delle pietre laviche. Infatti, lo sfida ridendogli in faccia come a chiedergli se è pronto.
La mostra è a perdita d’occhio un mare di bellezza. È una promessa di felicità. Infatti, passate le prime sale in cui il rosso del Vesuvio appare come la gloria di Napoli, in decine di enormi rappresentazioni ci avviciniamo alle video installazioni di Kaos produzioni con al centro Ondina, altra Opera di Giuseppe Renda. Questa statua spalanca le braccia a chi le viene incontro, il suo corpo è di donna ma il suo fare di sirena. Il suo spalancare le braccia è un invito alla vita. Tutta questa mostra ha come collante (tra un’opera e l’altra nelle sue differenze: tra ritratti di vita quotidiana, rappresentazioni naturalistiche, e assembramenti microbiologici e mitologici), la vita. Le sue azioni vitali, sensuali, lavorative, di vita quotidiana, di preghiera ma anche naturaliste e anticlericali, i suoi atti di magia sono tutte azioni che elogiano la vita.
Nel 1869, con l’apertura del canale di Suez, gli artisti subirono un’influenza immediata al gusto estetico orientale. I soggetti diventeranno orientali, saranno presenti scene di vita musulmana quanto scene di vita cattolica. Questo fenomeno pittorico non ha potuto non ricordarmi “Mediterraneo” di Iperborea e la sua analisi finale. In essa si concludeva che il Mediterraneo e i suoi popoli sono un unico grande frutto della terra la cui modernità non sembra mai attecchire del tutto. Non mancheranno infatti in queste sale dipinti sulla Puglia la Sicilia, l’oriente, Sorrento, Paestum, Pompei, Posillipo e, ancora, di Mediterraneo si parlerà come di quella luce tanto difficile da raccogliere per i pittori europei.
De Nittis, Morelli, Palizzi, Toma, Talarico, Lojacono, contribuiscono tutti quanti al palpito percepibile di ogni sala. Vita e bellezza conducono questi pittori ad entrare nelle arti senza mezzi di esistenza se non l’arte stessa. Forse, il documento più significativo di questa mostra sono i loro autoritratti. Il meraviglioso realismo delle scene di vita quotidiana in una vecchia e assolata Sicilia neanche troppo cambiata lascia il passo ad un obbligata vita bohème dei pittori che incontriamo in chiusura.
Come spesso mi capita, entro ad una mostra alla ricerca del capolavoro, dell’ospite superstar, delle icone rappresentate sul biglietto d’ingresso o nelle pubblicità. Così, finisco sempre per innamorarmi inaspettatamente di qualcos’altro. In questo caso, lascio così la mostra perdutamente innamorata dell’autoritratto di Francesco Paolo Michetti e di ogni singola pennellata dei suoi occhi.
Napoli Ottocento è una delle più straordinarie mostre realizzate a Roma negli ultimi dieci anni. Il museo di Capodimonte e le scuderie del Quirinale, finito lo stato d’emergenza legato alla pandemia, hanno dato vita alla loro idea nata nell’aprile 2022. L’Ottocento a Napoli, seppur legato all’Italia moderna, è ancora poco conosciuto e resta un mondo interamente da scoprire. Capitale italiana dell’Illuminismo.
Napoli ospita tra i più importanti pittori di tutto il mondo in quel periodo storico per la ricerca del sublime, la fenomenale contemplazione e lo studio del Vesuvio. Inoltre, la ricerca iconografica la passione archeologica e anche qui la contemplazione della favolosa e unica al mondo scoperta di Pompei. I suoi scavi, compresi quelli di Ercolano, folgorarono il mondo attirarono alla loro visita artisti del calibro di Turner di Goethe di Stendhal. Giunti a Napoli si trovarono a conoscere Capri, Sorrento, la Costiera Amalfitana e tutte le zone limitrofe del territorio Campano impregnate della loro magia in scenari idilliaci e virgiliani.
“Napoli Ottocento” si apre con “Le voilà” di Giuseppe Renda. L’opera è un giovane che sorride sfacciato allo spettatore (probabilmente straniero) che, con movenze da satiro, sembra voler dire a chi lo guarda che ovunque poserà il suo sguardo a Napoli vi troverà sepolti gioie e miserie trucchi e lune; un impasto di lava e mare, lumi e sortilegi. È una sorta di preparazione allo straniero europeo che pensa solo di arrivare nella terra della scienza, delle università degli osservatori, degli scavi archeologici e delle pietre laviche. Infatti, lo sfida ridendogli in faccia come a chiedergli se è pronto.
“Napoli Ottocento” è a perdita d’occhio un mare di bellezza. È una promessa di felicità. Infatti, passate le prime sale in cui il rosso del Vesuvio appare come la gloria di Napoli, in decine di enormi rappresentazioni ci avviciniamo alle video installazioni di Kaos produzioni con al centro Ondina, altra Opera di Giuseppe Renda. Questa statua spalanca le braccia a chi le viene incontro, il suo corpo è di donna ma il suo fare di sirena. Il suo spalancare le braccia è un invito alla vita. Tutta questa mostra ha come collante (tra un’opera e l’altra nelle sue differenze: tra ritratti di vita quotidiana, rappresentazioni naturalistiche, e assembramenti microbiologici e mitologici), la vita. Le sue azioni vitali, sensuali, lavorative, di vita quotidiana, di preghiera ma anche naturaliste e anticlericali, i suoi atti di magia sono tutte azioni che elogiano la vita.
Nel 1869, con l’apertura del canale di Suez, gli artisti subirono un’influenza immediata al gusto estetico orientale. I soggetti diventeranno orientali, saranno presenti scene di vita musulmana quanto scene di vita cattolica. Questo fenomeno pittorico non ha potuto non ricordarmi “Mediterraneo” di Iperborea e la sua analisi finale. In essa si concludeva che il Mediterraneo e i suoi popoli sono un unico grande frutto della terra la cui modernità non sembra mai attecchire del tutto. Non mancheranno infatti in queste sale dipinti sulla Puglia la Sicilia, l’oriente, Sorrento, Paestum, Pompei, Posillipo e, ancora, di Mediterraneo si parlerà come di quella luce tanto difficile da raccogliere per i pittori europei.
De Nittis, Morelli, Palizzi, Toma, Talarico, Lojacono, contribuiscono tutti quanti al palpito percepibile di ogni sala. Vita e bellezza conducono questi pittori ad entrare nelle arti senza mezzi di esistenza se non l’arte stessa. Forse, il documento più significativo di questa mostra sono i loro autoritratti. Il meraviglioso realismo delle scene di vita quotidiana in una vecchia e assolata Sicilia neanche troppo cambiata lascia il passo ad un obbligata vita bohème dei pittori che incontriamo in chiusura.
Come spesso mi capita, entro ad una mostra alla ricerca del capolavoro, dell’ospite superstar, delle icone rappresentate sul biglietto d’ingresso o nelle pubblicità. Così, finisco sempre per innamorarmi inaspettatamente di qualcos’altro. In questo caso, lascio così la mostra perdutamente innamorata dell’autoritratto di Francesco Paolo Michetti e di ogni singola pennellata dei suoi occhi.