La metafisica schiarita, intervista a Mauro Reggio

Abbiamo avuto modo di fare quattro chiacchiere con Mauro Reggio, artista romano che nelle sue opere pone come cifra stilistica la raffigurazione del solo paesaggio urbano, spogliandolo dei segni e della presenza dell’uomo per metterne in evidenza le geometrie e i colori, vero e proprio soggetto delle sue opere d’arte. La nostra riflessione è iniziata proprio sottolineando il parallelismo tra geometria e musica…

Hai mai pensato (o, magari, ti hanno mai proposto) di curare un progetto grafico per un gruppo musicale? Alcune tue opere, se ci pensiamo bene, possono veramente andare d’accordo col fenomeno underground…
In effetti quest’anno sono stato contattato da due artisti di origine siberiana, Zhenya e Misha Sultan e dalla loro casa discografica, la Hive Mind Records, che è un’etichetta indipendente inglese, proprio per inserire due immagini di dipinti per la cover e per l’interno del loro ultimo album. La loro musica trae ispirazione dai silenzi della distese siberiane e hanno trovato molto rappresentativi un dipinto del gazometro e una prospettiva dell’Eur.
Quando ti sei laureato nel 1993 all’Accademia di Belle Arti di Roma avevi già più o meno in mente che la strada da seguire fosse quella della raffigurazione del solo paesaggio urbano, staccandola completamente dalla presenza dell’uomo?
Nel ’93 ancora non avevo ben chiaro quale sarebbe stato il mio percorso, sperimentavo varie tecniche pittoriche e incisorie oltre alla pittura ad olio su tela e i soggetti erano i classici dell’accademia: ritratti, nudi, nature morte e paesaggi vari. Ricordo però che dal 1998 ho focalizzato l’attenzione solo sul paesaggio urbano.
Nonostante ciò, i segni dell’effetto dell’essere umano sono ben visibili in alcune tue opere, pur senza rappresentarli come soggetti in prima persona: penso a “Maxxi cantiere” con le gru, ad esempio…
Sul museo Maxxi ha dipinto una serie di quadri con gru e altri macchinari da cantiere perché si trattava di una commissione della società costruttrice ma credo che anche senza questi elementi, quando penso ad un paesaggio urbano deserto, il riferimento vada comunque all’uomo che ne è stato l’artefice, nel bene e nel male.
Una tua opera è stata commissionata appositamente per la parete centrale della Sala Nassirya a Palazzo Madama, aula adibita alle conferenze stampa: qual è stata la tua prima sensazione quando ti hanno proposto questa opportunità?
Ricordo che provai un’emozione fortissima perché da subito mi dissero dell’importanza della collocazione in quanto per la posizione centrale sarebbe stato fotografato ad ogni conferenza. Già pochi anni prima due miei dipinti erano stati acquisiti per la collezione permanente del Senato ma questo qui in particolare, commissionato appositamente e con soggetto richiesto proprio una veduta di Palazzo Madama, mi ha regalato una delle maggiori soddisfazioni professionali.
C’è una tua opera, magari tra quelle un po’ più datate, che oggi rifaresti in modo diverso? In altre parole, la tua pittura è evoluta e se sì, cosa cambieresti?
Da sempre uso ridipingere in modo diverso, anche a distanza di anni, alcuni soggetti che amo particolarmente. Il motivo deve essere quel leggero senso di insoddisfazione perenne o di dubbio, spesso riguardante la scelta di un determinato colore del cielo. Quindi nel corso degli anni ho potuto osservare meglio i cambiamenti graduali che sono avvenuti. Non so se la mia pittura si sia evoluta ma di sicuro è cambiata. Nelle prime vedute urbane la figura umana era già assente ma le pennellate erano più ricche di materia, nell’insieme aleggiava una velatura giallo-ocra che rendeva tutto meno nitido, era evidente l’influenza dei pittori della Scuola Romana che ho molto osservato. Ora le pennellate sono sempre materiche ma più ordinate, meno istintive, il colore più nitido e compatto, le linee molto più precise. Ma questo dipende anche dal fatto che quando dipingo nuovamente uno stesso soggetto cerco sempre di eseguire una versione migliore della precedente o quantomeno più soddisfacente.
Si è da poco conclusa la tua ultima mostra intitolata “La Mia Roma”: parlaci un po’ di questo ultimo allestimento presso i Musei di San Salvatore in Lauro
La mostra è nata per caso grazie all’editore Lorenzo Vitelli che ha avuto l’idea di riportare in auge il manifesto come forma di arte accessibile a tutti. Uno di questi manifesti su cui è riprodotto un mio dipinto raffigurante la torre di via Giolitti è stato notato da Lorenzo Zichichi, patron de Il Cigno edizioni che, conosciuto meglio il mio lavoro, ha voluto organizzare l’evento. Con un illuminante testo in catalogo di Victoria Noel-Johnson, l’esposizione si è conclusa con grande soddisfazione di tutti sia per l’affluenza di pubblico che per la eco che l’evento ha avuto sui vari social e media d’informazione. Oltre quella di aver esposto in un museo di prestigio con una magnifica pubblicazione, la soddisfazione maggiore rimane quella di aver ripagato chi ha voluto credere nel mio lavoro.
Per chiudere: un libro e un disco che consiglieresti ai nostri lettori per comprendere al meglio la tua arte
Il libro è Antichi maestri di Thomas Bernhard, mentre il disco è Solo live Frankfurt 1997 di Michel Petucciani.