La tomba della sirena Parthenope: storia e curiosità del misterioso luogo di sepoltura nella Basilica di San Giovanni Maggiore.

Napoli ha un millenario legame con la leggenda legata alla nascita della città. Secondo il mito classico di Omero nel XII canto dell’Odissea, la sirena Parthenope, in preda alla disperazione per non essere riuscita ad ammaliare Ulisse e i suoi marinai con il suo canto melodioso, decise di gettarsi in mare, insieme alle sue sorelle Ligea e Leucosia, e di lasciarsi morire. Il corpo di Parthenope arriva alle foci del fiume Sebeto, nei pressi dell’isolotto di Megaride sorto nell’area in cui oggi c’è il Castel dell’Ovo. In quel luogo venne trovato dai pescatori, che iniziarono a venerarlo e decisero di porre le fondamenta della città di Parthenope proprio intorno al corpo della sirena. Così ebbe origine una città che prese il nome della sirena morta per un amore non corrisposto, Parthenope. La città crebbe e si espanse, fino a diventare una nuova città, Neapolis, oggi Napoli.

Tra sacro e profano: la lapide misteriosa
È chiaro che si tratta solo di una leggenda e la storia ci insegna che la nascita della città di Napoli risale al IX secolo a.C., periodo in cui dei coloni greci, giunti dall’isola di Rodi, fissarono un primo insediamento nell’isolotto di Megaride e, in un secondo momento, insieme agli abitanti di Cuma, fondarono la città di Parthenope sul promontorio di Pizzo Falcone.
Ciò nonostante, il mito della sirena Parthenope è molto radicato nella cultura millenaria della città di Napoli e il dibattito in merito al luogo di sepoltura e di culto della creatura mitologica è sempre stato molto acceso. Per il popolo affascinato dal mito della sirena non c’è alcun dubbio: la tomba di Parthenope si trova nella Basilica di San Giovanni Maggiore. Anche i greci erano convinti che il luogo in cui si trova attualmente la Basilica fosse proprio la tomba della leggendaria sirena: il suo culto si diffuse e si professò perché simbolo dell’amore non amato e del dolore che provoca un rifiuto.
Effettivamente, all’interno della chiesa monumentale dedicata a San Giovanni Battista, c’è una lapide di marmo risalente al X secolo d.C., con un’incisione che pare esorti a una protezione della città: «Omnigenum Rex Altor Partenopem tege fauste». (Altissimo creatore di tutte le cose proteggi felicemente Parthenope). In un rapporto fra pagano e cristiano, Dio è invocato nella benedizione di quella sirena mitologica tanto cara ai coloni greci, fondatori della città. Il culto di Parthenope era così forte nel popolo che nel XVII d.C., l’allora vescovo decise di affiggere un’epigrafe marmorea, che ritroviamo tutt’ora proprio sotto la misteriosa lapide della sirena, con la quale ammoniva severamente il popolo ingenuo per credere a superstizioni non cristiane e infondate.
Ad oggi non esistono tracce di ulteriori ritrovamenti di templi o epigrafi dedicati alla sirena: la lapide della Basilica di San Giovanni Maggiore resta l’unica testimonianza in cui, per la prima volta, Napoli viene identificata con il suo antico nome di Parthenope.

Un tesoro nascosto nel cuore antico di Napoli: La Basilica di San Giovanni Maggiore
La Basilica di San Giovanni Maggiore si trova nel cuore del centro storico della città, presenta una pianta a croce latina a tre navate e ha una storia antichissima.
Come ricorda Giovanni Pontano, durante l’epoca romana, l’imperatore Adriano fece costruire un tempio in onore del suo amato Antinoo. Successivamente, nel IV secolo d.C., Costantino trasformò il tempio pagano in una chiesa dedicata a San Giovanni Battista e Santa Lucia, in seguito a un voto fatto da lui e da sua figlia Costanza dopo essere scampati a un naufragio nel mare di Sicilia durante il loro ritorno da Costantinopoli. La presenza di alte colonne in marmo cipollino con capitelli corinzi e di monchi architravi fissati ai pilastri dell’abside forniscono prove delle origini romane del luogo. Successivamente, il vescovo Vincenzo apportò una completa trasformazione e ampliamento alla struttura basilicale nella seconda metà del VI secolo. La chiesa di San Giovanni Maggiore venne annoverata tra le quattro chiese cardinali di Napoli, fondate tutte fra il IV ed il VI secolo d.C.
Nel corso dei secoli, sono stati numerosi i rimaneggiamenti e le opere di ristrutturazione della Basilica: nel 1456 un terremoto la rovinò parzialmente, mentre nel 1635, un altro sisma spinse il cardinale Ginetti a ricostruirla a sue spese. Nel 1732, un altro terremoto causò la rovina dell’edificio. I lavori di consolidamento e restauro furono ritardati anche a causa di un nuovo terremoto nel 1805. Il primo agosto del 1870, il Municipio aveva intenzione di demolire la Basilica, ma grazie all’impegno del Canonico Giuseppe Pelella e alle donazioni dei fedeli e delle famiglie nobili locali, l’edificio fu salvato e ricostruito. L’ingegnere Giorgio Tomplison fu incaricato dell’opera di ricostruzione, completata nel 1887. Nel corso degli anni successivi, la basilica ha subito ulteriori danni a causa di crolli del tetto nel 1970 e di un terremoto nel 1980. Dopo un lungo periodo di recupero finanziato in modo discontinuo, la Sovraintendenza ha finalmente completato il progetto nel 2011, riportando la chiesa alla sua antica gloria e preservando il suo valore storico, artistico e architettonico all’interno della città.