Giorgio Morandi, quando l’arte del grande maestro incontra il cinema

Parlare di Giorgio Morandi (Bologna, 20 luglio 1890 – Bologna, 18 giugno 1964) vuol dire avvicinarsi a una figura di spicco del panorama artistico italiano di inizio Novecento.
È stato uno tra i più importanti incisori a livello mondiale della sua epoca, tanto che nel 1930 ottenne per questo motivo la cattedra di incisione nell’Accademia di Belle Arti della sua città natale. La maggior fama in campo artistico deriva però dal suo contributo al movimento metafisico, di cui è uno dei maggiori esponenti insieme a Giorgio De Chirico e Carlo Carrà.
Le nature morte metafisiche, caratteristiche del periodo tra il 1918 ed il 1919, hanno elementi espressivi comuni quali ad esempio brocche, bottiglie, scatole e manichini disposti su di un tavolo in uno spazio quasi matematicamente concepito, privo di entità dinamiche. È proprio l’utilizzo di questi oggetti quotidiani, accostati apparentemente senza un criterio logico, a generare nell’osservatore un senso di profondo smarrimento, non lontano dal concetto di interruzione della “collana di ricordi” introdotto da De Chirico in “Sull’Arte metafisica” (1919).
Su questo piano espressivo si vengono a creare dei legami intimi ed allo stesso tempo intensissimi con il cinema di Fellini e di Antonioni. A tal proposito, impossibile dimenticare la celebre scena de “La dolce vita”(1960) che si svolge davanti una natura morta del pittore in cui l’intellettuale Steiner si rivolge a Marcello Mastroianni dicendo:
«Ah, sì. È il pittore che amo di più. Gli oggetti sono immersi in una luce di sogno. Eppure sono dipinti con uno stacco, con una precisione, con un rigore che li rendono quasi intangibili. Si può dire che è un’arte in cui niente accade per caso».
In questo modo Fellini intende riconoscere all’artista l’influenza sulle proprie idee e sulla sua fotografia.
Per quanto riguarda Antonioni un omaggio simile è presente nel film “La notte”(1961), secondo capitolo della trilogia dell’incomunicabilità, in cui una tela di Morandi è posta nello studio del protagonista, impersonato anche in questo caso dallo stesso Marcello Mastroianni, che, indotto da una richiesta dello regista stesso, attua una recitazione pressoché assente, e nella sua assenza riflette la staticità ed il distacco del quadro.
Due esempi di quanto le opere e l’universo artistico del maestro Morandi abbiano influenzato la cultura cinematografica e i suoi grandi interpreti.
Gabriele Marini