La mappa della paura
Cosa succede quanto ci sentiamo persi? Cosa proviamo quando siamo sicuri di aver preso la strada corretta per andare da A a B e invece improvvisamente ci rendiamo conto che non sappiamo più dove siamo girati? Il disorientamento è una sensazione molto forte e spesso può destabilizzare, ma come tutti i problemi che ci troviamo ad affrontare quotidianamente, c’è sempre quella soluzione che balza davanti ai nostri occhi: in questo caso stiamo parlando delle mappe. Che siano sul cellulare, che siano stampate, che siano anche solo nella nostra mente, queste possono davvero tirarci fuori da una situazione di difficoltà e venirci in aiuto.
Possiamo decidere di costruircele da soli oppure possiamo anche scegliere un aiuto esterno: qualcuno a cui affidarsi che ci guidi nel labirinto in cui ci si è infilati o in cui si è incappati.
Ma siamo sicuri che tutto possa essere mappato? Ad esempio, è possibile creare una mappa di un sentimento così forte e affascinante come la paura? A vederla dal di fuori, si direbbe proprio di no: e invece c’è qualcuno che può dimostrare l’esatto contrario e quella persona è lo scrittore di fama mondiale, Donato Carrisi.
Con il suo nuovo romanzo “L’uomo del labirinto”, ci dimostra ancora una volta come sia un profondo conoscitore delle anime umane e mostruose, che si districano nelle pagine dei suoi romanzi ed è proprio in queste che ci troviamo catapultati anche noi.
Con la sua ultima creazione, Carrisi ha aperto la terza edizione del Torino Crime Festival, presentando le sue idee e dialogando al Circolo dei Lettori con Fabrizio Vespa, codirettore della manifestazione a tinte noir.
I 90 minuti di conversazione più affascinanti ed inquietanti fin ora mai ascoltati. Ad ascoltare uno scrittore come lui, viene da pensare che le paure possano davvero essere mappate e il suo ultimo romanzo ne è la conferma ultima.
Come sostiene Carrisi, la paura che ognuno di noi si porta dentro è un sentimento sano e molto utile, ma è necessario comunque saperlo manovrarlo con cautela, facendola emergere nel modo giusto. In questo modo, è possibile usarla come antidoto, senza rifuggirla: diversamente se questa viene utilizzata per strumentalizzare le menti, allora può davvero diventare pericolosa; come l’amore, anche la paura è un sentimento nobile, proprio perché ci porta inevitabilmente a fare i conti con noi stessi.
Da studioso dei cattivi quale si è dimostrato negli anni, anche in questo romanzo ci fa vedere come il carnefice non è mai troppo sicuro di sé e dunque può diventare anch’esso vittima della paura, proprio perché non ne può essere esente.
Alla domanda del perché spesso nei suoi libri la figura centrale sia di natura femminile, Carrisi sorridendo risponde affermando che questa sua scelta così ricorrente sia un retaggio della sua infanzia, perché vissuta in una famiglia matriarcale, ma anche perché le donne – afferma – fanno da tramite alla cultura e alle storie ogni giorno.
Questa sua ideologia della donna si lega poi bene con la descrizione che fa del carnefice scelto per questo romanzo: un sadico consolatore, ossia colui che trae piacere dal tenere in vita la sua vittima, nutrendola e facendo in modo che non muoia, soprattutto non per mano sua.
Anche la scelta del titolo, che riporta il termine labirinto, risulta del tutto particolare: c’è un forte richiamo all’elemento del gioco, che Carrisi fa con il lettore, un insieme perfetto di enigmi che devono essere risolti fino all’ultima pagina. Il libro è costruito come un labirinto, spetta a noi che stiamo leggendo decidere se entrare, ma nel momento in cui entriamo è lo stesso scrittore ad averci e a fare lui la scelta se e quando ci farà uscire.
Rebecca Cauda