L’arte mostruosa e deforme di Francis Bacon

La collezione di disegni a Cristiano Lovatelli Ravarino, Casa dei Carraresi,Treviso.
Quando la tela cessa d’essere qualcosa di altro rispetto all’interiorità dell’autore, è senza dubbio a Francis Bacon (1909-1992)che dobbiamo rivolgerci. “Francis Bacon?” mi sono chiesta passando davanti al manifesto della mostra, a Treviso, “ma non era un filosofo?”; ebbene sì, Francesco Bacone, filosofo vissuto a cavallo fra 1500 e 1600, col quale il pittore irlandese condivide non solo il nome, ma anche l’interesse verso contenuti artistici e umanistici di quindicesimo e sedicesimo secolo. È ad artisti quali Velasquez e Rembrant che Bacon guarda per recapitare i propri messaggi alla modernità. C’è da dire, piccola premessa, che ho iniziato ad aggirarmi per quelle sale con non poco pregiudizio, credendo che avrei avuto a che fare con l’ennesimo pittore contemporaneo astrattista che gioca a fare Mirò compiacendosi dei propri segnacci distratti. Una delle prime descrizioni affisse attestava l’autenticità dell’esposizione: di fatto si tratta della collezione di quadri donata da Bacon al suo intimo amico Cristiano Lovatelli, durante uno dei soggiorni italiani. “Screaming Popes”, questa la piccola targa all’entrata della sala espositiva. Qualche altro passo ed ecco coerentemente disposte l’una vicina all’altra, una serie di tele direttamente ispirate al quadro di Papa Innocenzo X realizzato nel 1650 da Diego Velazquez.
Bacon raffigura, o meglio, “sfigura” e atterrisce con massima potenza tutta la compostezza regale mostrata dal pontefice nell’originario dipinto ad olio. I contorni della figura divengono tratteggiati nervosamente, la sceneggiatura di drappi e tessuti in velluto e seta bordeaux è sostituita da linee veloci estremamente pesanti dai colori acidi. La mano di Bacon calca, il soggetto urla, il volto è deformato dalle proprie grida, la bocca diviene famelica, i denti sporgenti, i lineamenti dilaniati da centrifughe insistenti. Dietro il presunto e supposto simbolismo della tela molto probabilmente si cela il burrascoso materiale emotivo che Bacon era solito scaricare sulle proprie opere, è anche possibile, d’altro canto, che Francis con questa serie di papi volesse avanzare diverse ipotesi pittoriche dal valore profetico su cosa realmente Velazquez avrebbe dipinto se avesse potuto emanciparsi dall’oneroso compito della pittura sotto commissione, unica modalità di sussistenza per l’arte di primo umanesimo , dove gli artisti per far valere il proprio talento dovevano usufruire della protezione di signori di corte e figure ecclesiastiche di spicco.
Movente diametralmente opposto è quello che spingeva Rembrandt a dipingere con crudo realismo la carcassa di un bue macellato nel 1655. Molti parlano di “virtuosismo realista”, fra le intenzioni dell’artista quella di spingere al parossismo il procedimento pittorico naturalista in modo da rappresentare così come appare alla diretta osservazione anche il soggetto meno idoneo alla raffigurazione. In effetti in un periodo artistico in cui imperversavano le nature morte, quale miglior memento mori di una carcassa inanimata? Di fatto il dipinto sembra però suggerire, per il chiasmo disegnato dalle membra dell’animale, la riproduzione nient’affatto immediata del cristo crocefisso. In Olanda del resto, in opposizione al cattolicesimo,numerosi movimenti protestanti resero impossibile la raffigurazione di immagini sacre nell’ambito artistico. Dunque una ricerca di tematiche laiche culminata nel versante satirico quella di Rembrandt, il cui intento è smascherato dall’opera di Francis Bacon che non esita a rendere palese l’occulta metafora cristologica incarnata dall’inerme selvaggina.
L’ossessione per la verità, per il lato dionisiaco e vergognosamente umano di ogni essere, questa la lancetta di una bussola che sin dalla età di 14 anni ha spinto Bacon alla scoperta delle proprie profonde inclinazioni, dal precoce ed ineluttabile riconoscimento della propria omosessualità, alla fede incondizionata per la propria vocazione, quella del pittore. Fu infatti a causa delle proprie attitudini artistiche,e del portamento “femmineo” che nel 1926 venne cacciato di casa dal padre, capitano della fanteria leggera dell’esercito britannico nonché sostenitore di una disciplina fortemente tradizionalista (allora in Inghilterra l’omosessualità era considerata un crimine).
Che dire, al di là degli studi su messaggi e tecnicismi di sorta, la sensazione che mi son portata via uscendo dal museo è stata quella di aver appena visitato nelle sue parti più intime la personalità di un essere umano che prima mi era appena familiare, e che anzi, guardavo con diffidenza. Quelle sagome deformi, quella voracità impressa su carta mi hanno lasciato intendere quanto la pratica artistica fosse per Francis Bacon un’attività terapeutica attraverso cui lasciare traccia delle più importanti resistenze che prendevano corpo nel proprio animo. L’originalità, seppur nella ripetizione e nella riproduzione, mi hanno convinta infine a riconsiderare il valore artistico di quelle tormentate testimonianze.