Henry Cartier Bresson o… “della fotografia”
E pensare che la fotografia non era per niente l’oggetto dei suoi desideri. La Parigi degli anni Trenta, ricca come non mai di fermenti artistici, l’aveva indirizzato alle arti visive. Quindi frequenta lo studio di Lothe, convinto di voler fare il pittore… ma… è a stretto contatto di Marcel Duchamp e Man Ray che stanno travalicando i consueti confini, e così si avvicina a forme altre, profondamente attratto com’è dal loro modo di esprimersi. Lascia tele e pennelli per esplorare questo nuovo media che non lascerà mai più.
La formazione artistica che lo aveva improntato, farà comunque sempre capolino, diventando la cifra delle sue immagini.
Dalí, De Chirico, Max Ernst, Magritte, personalità così decise e affascinanti sono parte della sua realtà. Il surrealismo lo cattura e impronta di sé la sua ricerca. Intuisce che la pittura non potrà mai esprimere la vitalità di uno scatto “giusto”. Solo lo scatto è in grado di immortalare quell’attimo che lui incredibilmente sa cogliere, unico e irripetibile. La mostra di Palazzo Ducale ha scelto come sua immagine simbolo la famosissima foto della Gare Saint Lazare, l’uomo dalla falcata sospesa, che ci appare in tutto il suo surrealismo.
Dice di sé “sono solo un tipo nervoso, e amo la pittura. Per quanto riguarda la fotografia non ci capisco nulla”.
Coerente fino in fondo, lascia agli esperti lo sviluppo del rullino, non intende modificare niente del negativo, che deve semplicemente rispecchiare il “Suo” attimo. È diretto e sincero il suo approccio e lo scatto o di primo acchitto riflette il suo pensiero, o si elimina.
Già nel 1930, a soli 22 anni, parte per la Costa d’Avorio con la sua Brownie. L’amicizia con Leonor Fini e Pierre lo porterà poi nel sud della Francia, con la Leica ormai diventata inseparabile, ma sono la sua esuberanza e disponibilità ad aprirgli il mondo. Jean Renoir lo vuole accanto, allo scoppio del conflitto s i arruola nel genio militare, e catturato passa tre anni in prigionia da cui, al terzo tentativo di fuga riesce ad evadere e si unisce ai partigiani. Forse per questo lo credono morto e nasce l’idea di una sua mostra alla memoria. Risolto l’equivoco, pilota lui stesso, molto divertito l’esposizione a N.Y.
Inarrestabile e fulmineo sempre, il suo percorso che qui ripercorriamo a grandi falcate. 1947 fonda quella che diventerà la più grande agenzia di pubblicità al mondo, Magnun Photo, da cui uscirà nel ’65. In quel lungo periodo percorre il globo in lungo e in largo, 1948 immortala il funerale di Gandhi, 1959 si trova in Cina e poi Urss India Giappone e di nuovo in Urss. “Per dare un senso bisogna sospendersi, la macchina fotografica è un bloc notes. Intuizione concentrazione, occhio, disciplina mentale”. Il suo nervosismo è forse il segreto, l’impazienza ė una componente fondamentale per catturare quell’istante che coglie un’immagine in divenire, che intuisce il passato e sente il futuro.
Negli ultimi anni torna al primo amore e si dedica solo al disegno.
A 95 anni “cambia dimensione” dopo una vita piena e ricca di soddisfazioni.
La mostra è da vedere.
Fino all’11 giugno. Curata da Denis Curti ha come partner il Comune di Genova. La Regione Liguria, e la Fondazione di Palazzo Ducale, ed è prodotta da Civita Mostra in collaborazione con la Fondazione Henry Cartier-Bresson
www.palazzoducale.genova.it