Per un’Europa del Mediterraneo: lingua e letteratura per ripensare la geopolitica
L’augurio che si fa Ilaria Guidantoni, autrice del libro Lettera a un mare chiuso per una società aperta, all’evento “Per un’Europa del Mediterraneo” è che la «letteratura possa diventare un laboratorio di emozioni e soprattutto di lingua, intesa come una visione del pensiero, un modo particolare di guardare le cose, e non solo come uno strumento di comunicazione».
Un mezzo di mediazione culturale, dunque, volto a ripensare l’idea di Europa a partire dal Mediterraneo: la lingua, la letteratura come «laboratorio per ripensare la geopolitica europea».
L’autrice in questi anni ha percorso un viaggio tra le due sponde alla ricerca di una corrispondenza tra culture, di punti comuni per creare un’integrazione, per un’idea di Europa meno “eurocentrica” e più aperta. In sostanza la Guidantoni auspica che il Mediterraneo possa diventare un luogo di incontro tra culture, che, anche se a pochi chilometri l’una dall’altra, sono divise dalla linea invisibile che separa Occidente e Medio Oriente.
Ma «Oriente rispetto a chi?», si chiede durante il dibattito il romanziere egiziano Muhammad Aladdin, il quale scrive in un contesto in cui la letteratura – ma non solo – si trova in bilico tra vecchie e nuove dittature. Questo il punto di partenza di una riflessione per rispondere alla domanda della Guidantoni su come l’Egitto vede l’Europa.
È una riflessione molto personale, quella di Aladdin, che non presuppone una certezza e un’universalità di pensiero, ma anzi propone un’interpretazione di quello che può essere il circuito del Mediterraneo: «Per gli arabi, il Mediterraneo è il mare bianco di mezzo. Questo concetto del “middle” è molto particolare e dobbiamo soffermarci quando per esempio parliamo del Middle East: ci riferiamo all’Oriente di mezzo, ma “mezzo” rispetto a cosa, Oriente rispetto a chi?», ribadisce Aladdin.
Solo se si cominciasse ad abbandonare l’idea di Mediterraneo dal punto di vista dei singoli Paesi sarebbe possibile perseguire una visione di culture integrate, in cui le politiche, le lingue, le letterature giocherebbero un ruolo di “pluralità culturale” e in cui i flussi migratori non sarebbero visti come un «io che vado di là» e un «tu che vieni di qua».