Alziamo il sipario su Millo, all’anagrafe Francesco Camillo Giorgino, street artist italiano che traforma i muri in capolavori. Città nella città, un mondo da fumetto in bianco e nero popolato da emblematiche e gigantesche presenze umane, dai tratti decisamente infantili. Sono proprio queste creature umanoidi il vero cuore pulsante capace di colorare un’esistenza altrimenti grigia, prototipo di un nuovo genere e solitaria traccia di un’umanità residua che rivendica “spazio” in un ordinato groviglio di palazzi e strade.
Ciao Millo, faticoso tradurre in parole le emozioni suscitate dalle tuo opere d’arte, è come un riconoscersi istintivo in un’immagine che sembra aspettarti, un muro che fiorisce e ti parla. La tua mano inconfondibile dipinge una delle caratteristiche della condizione umana urbana contemporanea: l’essere cioè soggetti divenuti oggetti, un prodotto delle città, in un ordine paradossalmente invertito. Come riesci a mettere sempre il dito nella piaga?
Ti ringrazio dei complimenti, e devo ammettere che la tua domanda mi fa sorridere.
Come riesco a mettere il dito nella piaga davvero è qualcosa di cui nemmeno io sono davvero consapevole.
Negli anni ho sviluppato la mia città-tipo un po’ famelica e di sicuro molto caotica in cui i miei personaggi muovono i propri passi, e mi è stato possibile perché è la rappresentazione grafica di ciò che sento.
Sono costantemente attraversato da quello che mi circonda, dalle cose che vedo, da quelle che ascolto, e i miei disegni sono per me la trasposizione di uno dei migliaia di dettagli di ciò che vivo.
È emozionante sapere che i miei lavori suscitano i più differenti sentimenti negli altri.
«Love seeker», questo il nome del meraviglioso intervento urbano, all’interno di un progetto di riqualificazione di un’area a Milano, all’angolo tra via Morosini e via Bezzecca, di 1250 metri quadrati dismessa e abbandonata da molti anni, ora rinata in uno spazio pubblico destinato ad attività culturali e ricreative, il Giardino delle Culture. Due muri ciechi, orribili, che adesso pulsano attraverso due giganteschi cuori rossi. La mia personale passione per lo street artist Millo è nata proprio da qui, dal mio stupore. La tua passione invece ha una collocazione precisa nel tempo?
La mia passione è quasi tutto il mio tempo oggi.
Disegno sin da quando ho memoria, nonostante questo, nei miei anni ho percorso strade differenti, alcune molto affini… poi all’improvviso ho iniziato a comprendere che non potevo più ignorare questa passione, che ignorarla avrebbe significato ignorare me, il mio sogno, ciò che mi faceva stare bene… e così, lentamente, ha ripreso il sopravvento, o semplicemente il posto che era sempre stato suo.
«Everywhere I go», uno dei tuoi “muri” a Minsk all’interno del progetto Urban Myths, è entrato nella lista dei migliori oggetti di street art del mondo secondo il movimento «I Support Street Art». Quando guardi un muro cieco, prima di diventare “pittore volante”, tu hai già un’intuizione visionaria di ciò che sarà? O è solo l’abbozzo di un processo creativo che è dinamico e prende forma mano a mano che si sviluppa?
Negli ultimi anni ho viaggiato molto, ed ho avuto la fortuna di dipingere in luoghi bellissimi senza mai avere una idea già decisa in partenza.
Ogni volta dedico sempre un po di tempo a visitare il luogo in cui dovrò lavorare, a carpirne qualche segreto, ma anche semplicemente ad osservarne le strade… mi lascio decisamente ispirare dal luogo e dal momento su quello che dovrò realizzare.
Impossibile esaurire in poche domande tutta la tua arte, in Italia e all’estero, ma pensando a «L’infinito negli occhi» a Lioni (Irpinia), o ai murales del tuo progetto Habitat, vincitore del concorso B.Art, Arte in Barriera promosso dal Comune di Torino, è sempre più evidente come l’arte di strada sia sempre più incisiva nel recuperare contesti di degrado cittadino, incredibile se si pensa all’origine di questo movimento artistico, strappato con i denti in un contesto di illegalità. Come vivi questa nuova possibilità che nasce dalla collaborazione?
In diverse occasioni, in verità la quasi totalità di esse, i miei lavori sono stati il mezzo attraverso cui è stato possibile dare vita ad un processo di riqualificazione urbana. A Milano ad esempio, i miei muri sorgono dove prima vi era una discarica illegale cittadina… a Torino in un quartiere difficile.
Questa nuova spinta alla collaborazione, alla creazione di eventi dedicati a questa tipologia di interventi, ovviamente mi fa felice e allo stesso tempo mi fa riflettere su come l’edilizia urbana negli ultimi 50 anni abbia generato mostruose pareti dove ora mi è possibile lavorare e per questo spero sempre che osservando i miei muri ci si possa accorgere anche delle nostre cattive abitudini… e magari perché no, modificarle.
Viviamo in un mondo sempre più instabile e drammatico, una precarietà a 360 gradi che investe ogni ambito della vita, da quello intimo e personale a quello collettivo e globale. Ritieni che la street art possa insinuarsi e fare la differenza in questa crisi infinita ‒ finanziaria ed umana ‒ come forma d’arte più vicina all’uomo, parlando un linguaggio diretto, comprensibile e visibile?
Credo stia già avvenendo. Negli ultimi anni sono moltissime le persone che amano questa nuova forma di espressione, è come se la street art fosse in un certo senso democraticamente apprezzata probabilmente perchè è fruibile alla totalità senza alcuna eccezione.
Un’ultima domanda, cosa ti fa svegliare al mattino? Cosa ti rende felice?
Di sicuro la sveglia! Mi rende felice sapere di poter fare ogni giorno ciò che di più al mondo amo.