PALIO DI SIENA. Forsennata corsa equestre
A Siena è tempo di “terra in piazza”, ossia è l’ora del Palio. Un anno di lavoro per un minuto e mezzo di spettacolo. Il Palio di Siena è una faccenda estremamente seria e complicata. Non è solo una festa popolare ma molto di più. E’ una storica competizione equestre che implica un universo di tradizioni, riti sacri e profani, rivalità e alleanze, attese e preparativi, vissuti con impetuosa passione. Ne sanno qualcosa i contradaioli sempre impegnati in raduni, cortei, controversie, sberleffi, prove, cerimonie, un lavoro criptico il cui atto finale è la celebre corsa che si tiene due volte l’anno: il 2 luglio va in scena il Palio di Provenzano in onore di un miracolo della Madonna e il 16 agosto si replica con il Palio dell’Assunta, protettrice della città.
La gara si corre in ricordo della vittoria della città di Siena schierata contro Firenze nella Battaglia di Montaperti del 1260 combattuta per il controllo della Via Francigena. Alle corse sono ammesse, per motivi di sicurezza, solo dieci delle diciassette contrade cittadine, le sette escluse l’anno precedente più tre estratte a sorte. Mentre ogni abbinamento cavallo-contrada è frutto di un sorteggio, i fantini vengono scelti; coccolati e sostenuti prima della gara sono tacciati di tradimento se non vittoriosi.
I giorni che precedono il Palio trascorrono a ritmi forsennati, trattandosi di una corsa “alla tonda” c’è l’anello perimetrale da preparare e ricoprire con 15 cm di tufo, argilla e sabbia, ci sono le transenne e le tribune da montare, i costumi da arieggiare, le curve di San Martino e del Casato da imbottire affinché “la festa non diventi tragedia né s’ammazzi gente”, le cene contradaiole da imbandire per strada, le messe, le processioni, le benedizioni propiziatorie dei cavalli, le prove e l’ultima “provaccia” finale del mattino. C’è anche da preparare il Drappellone, lo stendardo di seta premio del vincitore, quello di mezz’agosto avrà la firma di Francesco Clemente, uno dei cinque pennelli della Transavanguardia. I fantini, “zucchino” di metallo in testa e “nerbo” di bue in mano, cavalcano i berberi a pelo, senza sella e senza staffe, e attendono il via, dichiarato dall’abbassamento del “canape”, impegnando gli equini in ripetuti tentativi d’allineamento, resi macchinosi dall’irrequietezza di cavalli e cavalieri. Quando l’ultimo entra nel recinto, il mossiere abbassa la corda e si parte. Si devono percorrere tre giri della Piazza del Campo, il vincitore potrà essere anche un cavallo “scosso”, orfano del suo disarcionato fantino.
L’importante non è partecipare ma vincere e per accaparrarsi il Palio i fantini non eccellono in gentilezze, manuali e verbali. Il dopo-vittoria è un festoso parapiglia con affettuose pacche e baci al destriero che tanto onore ha portato alla sua contrada; poi tutti in Duomo per il canto del Te Deum di ringraziamento. Per i perdenti, un tempo c’era la purga con l’olio di ricino, oggi la si risparmia.
LA FAMOSA CONCHIGLIA. Se il Palio è uno spettacolo, non di meno è la piazza dove lo si corre. Piazza del Campo è uno splendido scenario, frutto di un’eccellente urbanistica medievale che imponendo severi canoni architettonici ha saputo creare un’immagine di grande armonia, racchiusa in un’originale forma a valva di conchiglia. La sovrasta l’altissima Torre del Mangia, 88 m di canna in cotto conclusa dalla bianca cella campanaria in pietra. Le si affianca il turrito Palazzo Pubblico dove da sette secoli convivono le funzioni monumentali e amministrative, edificio civico per eccellenza, esso non appartiene a nessuna contrada. Quasi al centro dell’emiciclo, la Fonte Gaia fu eseguita da Jacopo della Quercia nel 1409. Tutt’intorno, una cortina di armoniose facciate fra le quali si mimetizzano undici “chiassi”, sottopassi che immettono nei vicoli retrostanti il Campo.
DA VEDERE. Il ciclo d’affreschi che il senese Ambrogio Lorenzetti realizzò tra il 1337 e il 1339 nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico dove illustrò le Allegorie e gli Effetti del Buono e del Cattivo Governo, un vero manifesto politico, didascalico e moraleggiante ante litteram. Il pulpito poligonale del Duomo con i bassorilievi marmorei di Nicola Pisano 1265/1268.
DA COMPERARE. Il Panpepato o la sua versione addolcita nel Panforte, i Ricciarelli alle mandorle, il salame Finocchiona aromatizzato con semi di finocchio, i Cantucci da inzuppare nel Vin Santo.
DA SALIRE. I quasi 400 scalini della Torre del Mangia per godere dell’impareggiabile veduta della città che dall’alto dipana tutta la sua tavolozza di gradazioni della terra di Siena, dal centro storico alle lontananze delle crete senesi.
Cinzia Albertoni
16 agosto 2012