Viaggio notturno per la Porta del Paradiso
Dopo un restauro ultraventennale, la Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti è stata trasferita dall’Opificio delle Pietre Dure al Museo di Santa Maria del Fiore. L’eccezionale trasporto è avvenuto nella notte tra il 26 e il 27 giugno in una Firenze in trepidante partecipazione per la sfilata di uno dei capolavori dell’arte italiana. Le due magnifiche ante bronzee non torneranno nella sede originale, cioè nella porta del Battistero che guarda la cattedrale fiorentina ma troveranno una nuova collocazione nel cortile del museo in un’ apposita teca climatizzata, dove il prossimo 8 settembre saranno presentate al pubblico. Il monumentale lavoro: 5 metri x 3,10, dal peso di 8 tonnellate, 4 ad anta, compiuto dal Ghiberti tra il 1425 e il 1452 ha subìto parecchie traversie nel corso dei secoli. Nel 1943 la porta fu smantellata e nascosta in una galleria per proteggerla dai danni della guerra, con l’occasione fu sottoposta ad un primo intervento di pulitura.
Tornata in sede nel 1948, subì l’alluvione del 1966 e nel 1990 fu sostituita da una copia. Dopo una campagna diagnostica, il laboratorio del settore bronzi dell’Opificio, in collaborazione con l’Istituto di Fisica del CNR di Firenze, ha provveduto alla rimozione dei depositi salini grazie alla messa a punto di un laser che non ha danneggiato l’originale.
Il portale fu commissionato il 2 gennaio 1425 allo scultore Lorenzo Ghiberti che in Firenze teneva una fiorentissima bottega e che in quegl’ anni era considerato il “leading artist” della città. L’opera fu molto ammirata dai contemporanei, dai posteri e da Michelangelo al quale si deve l’appellativo di Porta del Paradiso. Lo scultore la realizzò in dieci formelle raffiguranti Storie Bibliche fiancheggiate da figure di profeti e volti sporgenti da tondi, il tutto racchiuso in una elaborata cornice lussureggiante di foglie, frutti e animali. Tutte le immagini sono risolte in un’aulica eleganza dipanata tra l’altorilievo dei primi piani e l’appiattito “stiacciato” degli sfondi. Il racconto biblico inizia in alto a sinistra con le Storie di Adamo ed Eva e in un percorso zizzagante illustra una cinquantina di avvenimenti, poiché ogni pannello raggruppa più scene. La straordinaria abilità tecnica del Ghiberti emerge nella precisione dei particolari, nella disinvoltura dei gesti, nella spontaneità delle espressioni, nell’accuratezza dedicata agli elementi naturali. Un dinamismo plastico pervade i personaggi, specialmente negli scenari affollati come nelle Storie di Mosè e di Salomone, nel gesto violento di Caino che ammazza il fratello, nelle improvvise apparizioni angeliche fluttuanti tra nuvole ed ali, nell’impugnazione aggressiva delle armi. Sbalorditivi i paesaggi, ricchi d’effetti quasi pittorici come nelle balze montuose dove l’ombra s’insinua negli aggetti stratificati creando chiaroscuri più consoni al pennello che non alla modellazione. E poi le architetture, bellissime, sia che si tratti di capanne lignee, di attendamenti, di palazzi dove elementi ancora gotici armonizzano con primizie rinascimentali o della grandiosa loggia circolare con il colonnato prospettico, nel quadrato dedicato alle storie egiziane di Giuseppe.
Scenari fiabeschi, folle, stormi, boschetti, volti, corpi ignudi o avvolti in pepli dall’ampio panneggio, acconciature ricciute, corone, turbanti, animali domestici ed esotici, aratri, tinozze, ambientazioni umane e divine; il Ghiberti sfoderò qui un repertorio cosmico reso solenne dalla doratura del bronzo. L’effetto produce una porta aurea, la cui accuratezza esecutiva sembra sortire un incommensurabile lavoro orafo. Per ammirarlo, l’appuntamento è all’8 settembre a Firenze.
Cinzia Albertoni
30 giugno 2012